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ANTONINO
MANCUSO FUOCO
Pittore naïf di Capizzi (Me), è l’unico
siciliano presente al Museo Internazionale d'Arte Naïve Charlotte
Zander di Bönnigheim (Germania).
Nato da famiglia contadina, a Capizzi egli trascorse l'infanzia
insieme ai suoi cinque fratelli. Dopo le scuole elementari, iniziò
a lavorare nei campi con il padre, dilettandosi tra una pausa e
l'altra a scolpire il legno, a disegnare con un pezzo di carbone
su qualche pietra o ad incidere col coltellino delle figure sulle
pale dei fichi d'india. In effetti è verso la pittura che
il giovane volse ben presto i propri interessi. La chiamata alle
armi nel 1942 lo portò dapprima a Novara e, l’anno
successivo, a Bari. Finita la guerra, egli riprese le attività
di un tempo, ma la scomparsa dei genitori segnò una svolta
nella sua vita. Nel 1947 contrasse un primo matrimonio, di breve
durata, con una ragazza del luogo morta prematuramente. L’anno
successivo ne sposò la sorella, Maria, dalla quale ebbe tre
figli. Alla fine degli anni '50 entrò come socio in un'impresa
edile locale che fallì, e nel 1964 si vide costretto ad emigrare
in cerca di lavoro a Ulm Donau (Germania) per far fronte alla situazione
fallimentare dell'impresa e onorare gli impegni assunti. Qui egli
rimase poco meno di un anno. Rientrato per breve tempo a Capizzi,
svolse diverse attività per mantenere la famiglia, ma la
crisi economica e la precarietà del lavoro lo indussero a
raggiungere Torino dove iniziò a lavorare presso la Società
Ippica di Nichelino. Vivere in quella città comportava certamente
per il giovane Mancuso sperimentare in sommo grado la nostalgia,
il doloroso desiderio di ritorno, e fu forse per lenire tale sofferenza
che egli riprese i pennelli, usati in passato per riempire le pause
nelle attività campestri, ed iniziare a rappresentare –
a se stesso prima ancora che ad altri – quell’universo
domestico tanto lontano e tanto agognato. Presero così forma
e colori le figure, i contesti sociali e gli ambienti naturali della
sua infanzia.
A cinquant'anni, colpito da paresi facciale, il pittore fu costretto
a rientrare in paese. Avvilito dalla nuova condizione fisica, l’entusiasmo
e la vena artistica parvero dapprima smorzarsi, ma uno spazio dedicatogli
nel febbraio 1973 sul “Bolaffiarte” stimolò in
lui un nuovo impulso alla produzione pittorica. Iniziò così
un periodo assai felice di dipinti naïf, progressivamente sempre
più maturi e consapevoli della propria vocazione. Tutte le
esperienze, i ricordi e le sensazioni dell’infanzia si traducevano
in splendidi scorci pittorici la cui cifra peculiare era offerta
dall’utilizzo straordinario dei colori. I verdi, i gialli,
i bianchi, i rossi vennero da Mancuso Fuoco impiegati per presentificare
boschi frondosi e prati sterminati, aie assolate, campi innevati,
tramonti infuocati.
Mancuso Fuoco trascorse il tempo restante nel suo paese natale,
a volte spostandosi nel più vasto comprensorio nebroideo
per trovare ispirazione alle proprie opere. Sulle sue tele divennero
predominanti i paesaggi peculiari di tale straordinario ecosistema.
Numerose sono le mostre collettive e personali a cui partecipò,
sempre meravigliato della celebrità che lo aveva raggiunto
e mantenendo la semplicità e la modestia di umile illustratore
della propria cultura, quale egli sempre rimase.
Forse per mantenere ancora più forte il legame con le proprie
radici egli, nell’ultimo scorcio della sua esistenza decise
di ritornare alla vita dei campi; acquistò un gregge e ritornò
alle attività della giovinezza portando con sé tele
e pennelli, ormai ineliminabile suo corredo, fino alla morte che
lo raggiunse il 30 giugno 1996.
Sergio Todesco
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