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GIULIO D'ANNA

È un giovanissimo messinese che ha iniziato da poco una sua nuova pittura futurista e lascia bene sperare. I suoi quadri “Salto in alto” “Ritratto enigmatico” “Luci sullo Stretto” – costruiti con perizia e con un senso del colore che diviene sempre più penetrante e suggestivo – lo rivelano pittore limpido e festoso, tutto volo tutto libertà tutto fantasia.
[…] È per me infatti prodigioso il fenomeno di questo giovanissimo autodidatta che lontano dai grandi centri e dalle grandi Esposizioni, ha saputo da sol balzare in piena atmosfera futuristica, portando al traguardo della nostra sensibilità le sue migliori doti di fantasia e di armonia, ma anche quelli di riflessione e di concentrazione, che egli possiede in pieno, e che sono cose assai rare per la sua età e pel nostro tempo.

Guglielmo Jannelli, "Pittori siciliani d’avanguardia", in “La Gazzetta”, 4 gennaio 1931.

Caro Palumbo,
aderisco con piacere al tuo invito di scrivere qualcosa su me e sulla mia pittura. Credo che ben poco abbia da dire. Non ho mai frequentato accademie di belle arti essendo convinto che queste sfornino annualmente buoni insegnanti e non artisti. Da solo ho imparato a dipingere. Mi sono sempre occupato di conoscere le varie tecniche e penso di esserci riuscito, avendo partecipato alle mostre nazionali ed internazionali senza il sostegno dei così detti “pezzi grossi”.
Se l’arte è creazione, cioè lavoro di fantasia, la mia arte c’è in pieno. Le mie idee sull’arte sono limpidissime. Ammiro moltissimo la fotografia come invenzione ed è per questo che nella mia arte non ho mai lontanamente tentato di fare concorrenza a tanto rispettabile invenzione. Le mie figure, le mie case, i miei paesi sono tutti inventati, non avendo nulla a che fare col “vero”, e, malgrado io sia ammiratore della natura, la mia arte non è mai stata da essa timorata.
I colori? I colori sono quelli che a me piacciono e che mi vengono suggeriti dalla mia sensibilità. Nessun preconcetto ha mai turbato il mio lavoro. Di volta in volta la materia stessa mi ha suggerito la tecnica.
Ti confesso ancora una cosa: non ammetto la funzione del critico, se questo sconosce i problemi tecnici dell’arte, sia essa scultura, sia pittura. Arriva, il critico, ad opera finita. Spesso tutto quello che egli dice è un di più, appesantisce l’opera, ne deforma il contenuto. Raramente il critico risale alle origini per seguirne a passo a passo il progredire e il completarsi di essa.
Odio lo snob artistico. Odio le zazzere e le cravatte a svolazzi, la barba e le macchie di unto sui vestiti. Odio le “distrazioni” volute dei così detti “artisti”. Mi propongo di fare ancora molto per l’arte. Auguro un mondo di cose alla Vostra rivista, con cordialità credimi

Giulio D’Anna

"Artisti che si confessano", in “Terra del sole”, 1 agosto 1947



 

Giulio D’Anna, meno che giovanissimo, ragazzo, ebbe la ventura di abbracciare le tendenze futuriste. Il futurismo, possiamo oggi dirlo, se ebbe da un canto la funzione di rinnovare e rinfrescare le acque artistiche, ebbe d’altro canto, per la sua accensione violenta e translucida, la funzione di sovreccitare alcuni temperamenti impreparati fino al punto da condurli alla conclusione di un incendio immediato ma fatalmente breve, negativo e distruggitore. Chi dal futurismo trasse vantaggio stabile fu l’artista che aveva naturalmente, come istinto, una tradizione da sviluppare, perché per costui futurismo significò veramente l’ultima cifra consequenziale giustificata da tutte le cifre precedenti. Giulio D’Anna appartiene a questa categoria di futuristi. Era futurista ma nel profondo Modigliani lo investiva facendolo vibrare, e tutto il filone raffaellita e preraffaellita si innestava alla violenza impressionista ed espressionista già carica, pregna e pronta ad esplodere in cubismo, fovismo e via di seguito, né innocenze di primitivi mancavano in un lirismo filtrato d’astratto. Oggi D’Anna cammina con una coerenza storica ovvia, di cui spesso sembra non rendersi conto, che lo rende commovente, nativo nel senso di logicamente e preordinatamente destinato all’arte senza scampo, senza equivoco, fatalmente. D’Anna, come tutti i siciliani che operano nel campo figurativo, avrebbe potuto correre, come maggior pericolo, quello di venire travolto da una atmosfera panoramica che stritola l’uomo attraverso un paesaggio che finisce col diventare spesso astruso e non astratto, inafferrabile e non infinito, proprio perché senza limiti, senza quei limiti che sono in fondo la chiave del vero, reale e plastico infinito. Un istinto tradizionalistico preservò D’Anna da questo pericolo, spingendolo a sottilmente dar limiti all’illimitato dell’atmosfera circostante incombente, a cui è fatale non poter sfuggire, con un metodo di aggiramento, diciamo di incameramento attraverso tutte le forme possibili meno che attraverso la forma diretta che l’atmosfera contiene. In ciò, a ciò comprendere lo aiutava il grosso precedente di Antonello da Messina che di quell’atmosfera seppe caricare occhi e vesti dei suoi ritratti eliminando come presa di possesso diretta l’atmosfera medesima. Ho davanti, di D’Anna, un cestello di terra di Siena, cupo e trasparente, chiuso come un segreto, con dentro serrati, a punte a mazzo, immersi in colori rossi verdi blu, pesci che diventano penne e potrebbero essere anche foglie, penne di uccelli tropicali e foglie di tropicali piante, un cestello che serra perfettamente e limita, per darcene il plastico e reale senso d’infinito, quella inquietante e inafferrabile atmosfera di cui parlavo. Ecco la chiave per capire D’Anna, la sua pittura nel suo svolgersi e nel suo punto d’arrivo.

Beniamino Joppolo, “Notiziario di Messina”, 21 ottobre 1951

 

 

[…] la ricerca e quindi lo sviluppo del suo linguaggio formale si svolgono su alcuni elementi fondamentali incentrati da un lato sul problema della struttura funzionale della forma, e dall’altro sulla funzione della luce-colore come fattore di sintesi poetica della materia. Un processo che, pur nella rielaborazione autonoma, passa attraverso la lezione di Balla e Boccioni, accogliendo la volontà di precisare il rapporto della rappresentazione dinamica della realtà propria del Futurismo con i mezzi espressivi del Cubismo di cui accetta i principi della scomposizione e l’aspetto intellettuale e razionale. Nell’elemento luce-colore si individua anche la coerenza del linguaggio di Giulio D’Anna, anche quando superate le prime suggestioni dinamico-figurative, non resta insensibile, nel bisogno di un rigore compositivo che definisce spazio e volume, alle premesse che, dal razionalismo al realismo, si rifanno alle matrici cubiste e postcubiste di un Braque e di un Derain. Si definiscono a questo punto i vari periodi che segnano le tappe della sua attività artistica: dalle prime composizioni futuriste a quelle astratte ed ancora alle strutturazioni polimateriche, ai collages, attraverso una definizione sempre più rigorosa di forme pure e assolute, dove vengono riassunte in un raro equilibrio, le esperienze culturali maturate nel tempo ed un’autonoma ed intatta intuizione poetica affidata al senso del colore ricco di preziosità e vibrazione.

Francesca Campagna Cicala, Giulio D’Anna, in Mostra di pittori scomparsi. 18° Premio Vann’Antò, Messina 1979.



 

Al 1928 […] si iscrive la prima tela futurista finora nota, forse da identificare con Ebbrezza visiva: Giulio ha vent’anni e tanta voglia di autoaffermazione e le immagini scoppiettanti di quella esposizione con la compresenza di tanti artisti, anche della generazione storica del Futurismo, non possono non fermentargli nella mente e spingerlo all’azione […]. Un autodidatta come D’Anna, antiaccademico per eccellenza, come egli stesso confesserà in anni più tardi […], non poteva non ritrovarcisi tutto e da qui partire per intraprendere la sua avventura artistica: da un lato l’adesione ai principi dell’originalità, della libertà, dell’esplosione luminosa della fantasia, che da lì a poco Marinetti gli riconoscerà, dall’altro certi ambiti di creazione, come la velocità, lo sport, la natura e la meccanica, che in lui si identifica con l’aeropittura, componenti tutte che fa subito sue rielaborandole prima stentatamente poi con sempre maggiore sicurezza.
[…] Quando nel febbraio del ’31 si inaugura la sua prima personale a Messina, con cui egli tenta la fondazione di una tradizione pittorica futurista nella città, ha certo al suo attivo un consistente esercizio da autodidatta, che ha affrontato autonomamente, senza condizionamenti passatisti, con le sole esperienze contemporanee, dirette e indirette, fino allora vissute con gli esponenti del Futurismo sia siciliano, sia nazionale (si ricordi che Giulio non ha una sua vera famiglia, una vera città d’origine e pertanto una tradizione culturale di riferimento alle spalle). Da un lato la conoscenza dei palermitani Corona, Rizzo e Varvaro, dall’altro quella di Marinetti, di Balla, Boccioni, oltre che di Depero, stimolano la sua fantasia e gli impongono la necessità di un approfondimento anche teorico attraverso lo studio dei primi significativi manifesti. Le opzioni tecniche e stilistiche di D’Anna nascono da qui, dalle sollecitazioni dell’ambiente, che si alimentano delle capacità espressive della materia e sue proprie. Il giovane ha certo letto bene le opere dei suoi amici futuristi palermitani, la cui influenza è evidente già nelle prime prove, anche se, all’interno del movimento, egli persegue sempre una sua linea inconfondibile: non esita talvolta a cimentarsi per gioco su alcune immagini già viste, ma finisce poi sempre con l’interpretarle alla sua maniera.
[…] In realtà D’Anna occupa nel futurismo siciliano un posto singolare sia per la sua collocazione cronologica – unico pittore futurista siciliano degli anni Trenta – sia per un’innata autonomia di interpretazione del verbo futurista nella sfera tematica e modale, rivelandosi decisamente originale e in anticipo, soprattutto nell’ambito aeropittorico, in cui si dispiegano tutte le suggestioni della solarità e della luce mediterranee, vere e proprie “scudisciate coloristiche”, come le definisce nel ‘33 il non identificato giornalista de “Il Popolo di Roma”. Se non sfugge neppure lui alla scelta non iconoclasta degli altri futuristi siciliani, si getta però alle spalle tutta la tradizione impressionistico-vedutista e il transito divisionista […], che i suoi colleghi palermitani attraversano e pare cominciare ex novo, dallo sperimentalismo futurista, con una pronta ricezione dei messaggi e con un vivace confronto: senza vivere l’ansiosa esperienza delle fughe e dei ritorni, pago a forza di una nuova visione stanziale. D’Anna si accontenta della contemplazione e dello studio della sua realtà, che talora accarezza liricamente, altre volte con un ammiccante sorriso, altre ancora con una più decisa incisività di ritagli iconografici, che affondano le radici in una avvertita vocazione al moderno.


Anna Maria Ruta, Giulio D’Anna. Aeropittore mediterraneo, Palermo 2005.



 

D’Anna […] non si farà mai coinvolgere passivamente dalle correnti più in auge, dalle mode passeggere o dalle passioni, comprese quelle politiche, troppo prorompenti e, spesso, fuorvianti e da questo atteggiamento derivano la sua forza ed il discreto livello qualitativo delle opere, mantenuto fino agli ultimi anni. […] pur adottando il figurativo, si mantenne fedele ad uno stile razionale ed alle formule apprese attraverso Futurismo e Cubismo, accostandosi con sorvegliata curiosità alle novità ed evitando in tal modo di fare della propria arte un vessillo, come accadde tra la fine degli anni Quaranta ed i primi Cinquanta a molti artisti che, come lui, avevano aderito al Partito Comunista Italiano.
[…] Le opere degli ultimi anni Quaranta dichiarano, con la sicurezza che gli viene dalla maturità acquisita, la volontà di non attenersi ad un unico stile, mantenendo la più ampia libertà di trascorrere da una sperimentazione ad un’altra opposta, senza necessariamente mostrare riguardo verso il gusto più diffuso. […] Il dichiarato distacco dalle mode e dai vezzi del mondo artistico non impediva a Giulio D’Anna di mantenersi costantemente al corrente delle novità e delle più aggiornate tendenze culturali, pronto a recepirne gli elementi a lui più congeniali e confacenti alla sua formazione. Era già vivo da tempo in lui l’interesse per Picasso e per il Cubismo e due dipinti del 1949 testimoniano chiaramente che il dialogo intessuto con l’artista spagnolo, e con le sue continue evoluzioni stilistiche, si era mantenuto inalterato.
[…] Il suo neocubismo non si trasforma mai, tuttavia, in quel “guttusismo” tanto svuotato di ogni contenuto sincero quanto apprezzato dal vasto pubblico […] In anni in cui il neorealismo e la “questione meridionale”, con i suoi contadini e pescatori, tenevano il campo accendendo le polemiche tra sostenitori del figurativo ed astrattisti, D’Anna, pur mantenendo fede alle proprie idee politiche di marca comunista, non si lascia coinvolgere dalla demagogia e dal populismo imperanti e mantiene un certo distacco, interessandosi senz’altro anche alle posizioni di quegli artisti che, senza rinnegare l’impegno politico e sociale, affermavano la validità dell’arte astratta. In questo si ritrovava ancora una volta idealmente vicino a Prampolini che, fermo sostenitore delle posizioni degli astrattisti, continuava a partecipare attivamente alla vita culturale italiana. Nella sua interpretazione del Cubismo D’Anna mantiene una propria autonomia poetica per la peculiare attenzione alla luce, che attraversando ed imbevendo i colori ne attenua la forte carica espressiva, investendoli di quel sognante lirismo che anima l’intera sua produzione pittorica.
[…] L’ordine, la regola, la scarna essenzialità degli oggetti ritratti […] rivelano il bisogno di frenare, limitando l’irruenza dell’istinto. Un freno che viene, tuttavia, controbilanciato dall’estrema vivacità dei colori, da quella presenza del rosso acceso […] Anche la materia pittorica, fatta di pennellate brevi e visibili, sfugge al freddo controllo della razionalità, donando spessore alle superfici e, coadiuvata dalla scomposizione di matrice cubista, altera, almeno in parte, la definizione dei contorni e la levigatezza delle forme. […] D’Anna opera mantenendosi equamente distante dal neorealismo – che, alla luce delle violente polemiche nate nel 1948 dalla militanza nel PCI e proseguite fino al 1956, sfociò spesso nella facile demagogia - ma anche dall’Informale, qui inteso esclusivamente nella sua accezione di gestuale, violento ed improvvisato, preferendo sempre un’adesione moderata all’aniconismo come al realismo. Lo dimostrano tutti i suoi dipinti, rappresentazioni equilibrate scaturite dall’osservazione pacata del mondo circostante e da una volontà innata di controllare l’urto della vita e delle passioni.
[…] Attraverso il ricordo della figlia è facile immaginarlo intento alla pittura. Restava chiuso nel proprio studio a plasmare materiali e colori, a volte per notti intere e con l’immancabile sigaretta, tanto geloso della propria passione da essere restio ad accogliere anche le proprie figlie in quel suo mondo, per farle assistere alla nascita di un’opera. Si nutriva ancora alla linfa vitale della propria formazione futurista, per giungere adesso a risultati nuovi ed allo stesso tempo fedeli a quel felice cromatismo, a quell’approccio sognante con il mondo, che era stato l’essenza della sua pittura giovanile. Assistiamo al consueto trascorrere dal figurativo al non figurativo, che gli è congeniale e gli riesce naturale proprio per quella continuità concettuale tra posizioni futuriste ed astrazione che è ormai un dato riconosciuto. La pacatezza, pur nella festosa vivacità cromatica, e lo studio attento della forma rimangono qualità specifiche della sua pittura.
[…] Senza tradire mai del tutto le scelte cromatiche della produzione del decennio precedente, negli anni Sessanta diventa più frequente la scelta degli azzurri e dei rosa, che conferiscono ai dipinti di questo periodo un tono di serena contemplazione e di pacato lirismo, che sembrerebbe il segno di un equilibrio, artistico ed interiore, ormai pienamente raggiunto.
[…] L’olio si mescola alla sabbia, al tessuto ed alle pietre, ma questi non sono utilizzati in maniera casuale, solo per cercare un effetto estetico e di superficie, in realtà concorrono alla narrazione e contribuiscono a comunicare la sensazione anche tattile dell’ambiente e dell’atmosfera descritti. […] Le ultime opere testimoniano il cimentarsi costante con l’astrattismo ed il ruolo predominante assunto dalla materia. Il procedimento di astrazione dal soggetto reale viene abbandonato a favore della costruzione di forme pure, che hanno valore in sé, nelle proprie qualità intrinseche, al di fuori di qualsiasi riferimento alla realtà circostante. […] L’uso della materia rivela l’adesione alla poetica informale, ma è derivato direttamente, senza bisogno di contrasti e traumatiche rotture, dall’esperienza futurista. Impasti oleosi, sovrapposti allo stucco lavorato con la spatola, creano spessori, densità e vibrazioni, che sono frutto di una visione della pittura come identità tra materia e vita.

Virginia Buda, «Un pittore limpido e festoso». Giulio D’Anna a Messina tra Futurismo e Astrattismo, Messina 2006.