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LO
SPERIMENTALISMO DI SALVATORE CASTAGNA
…
Eppure di questa fase "iniziale" mi piace soprattutto
segnalare due opere certamente di grande importanza: mi riferisco
a Paesaggio ravennate che Giuffrè data al 1954 e Aquilone
che ha partecipato alla VIII Quadriennale di Roma e dunque deve
farsi risalire al 1960.
Nel primo, tutto giocato su trapassi tonali che richiamano alla
mente certe impressioni alla Afro, si manifesta ancora una vena
di racconto; l'artista vuole probabilmente essere figurativo, dipingere
cioè un paesaggio, ma lo fa affidandosi adesso all'inganno
della memoria ed all'artificio della pittura: la prima più
che ricordare cose e realtà porta con sè soltanto
sensazioni, la seconda non descrive nulla ma a sua volta funziona
da grande metafora che, del paesaggio, indica solo il senso. È
un dipinto di grande compostezza con qualche elemento di spregiudicata
innovazione che può rintracciarsi non soltanto nella densa
materia pittorica ma anche nelle grandi bande nere che spiovono
in verticale sull'immagine suscitando una sensazione di dentro/fuori
e che, se da una parte possono far pensare ad uno sguardo a Kline,
dall'altra più propriamente conducono ad un ingrandimento
da Klee.
Con Aquilone Castagna opera un deciso mutamento; accentua la presenza
della pittura che diventa totalizzante ed elimina del tutto la natura,
chiudendo anche il filtro della memoria: qui tutto si svolge secondo
una sapiente orchestrazione tonale e soprattutto si fonda su una
stabile struttura che al suo interno lascia penetrare anche il presagio
di certi ritmi geometrici, e una sovrabbondanza di colore che a
volte matericamente si raggruma. Ecco i due semi che da ora in poi,
messi a dimora, produrranno le due fondamentali piante; ecco che
l'artista comincia a mettere a fuoco una propria ricerca con insistite
prove alcune delle quali di grande livello.
Scrive Guido Giuffrè: "In tacita risposta, forse, a
quanto l'Informale veniva elaborando in fatto di 'materia' e tuttavia
con un amore per la forma che non sarebbe mai venuto meno, l'artista
crea con i polimaterici... alcuni dei suoi esiti più rilevanti.
L'empito naturalistico dei quadri immediatamente precedenti si fa
più remoto, ma nelle forme dense, nella scabra materia modulata
da una sapienza antica del colore, il senso umano si fa più
profondo. La pittura rinuncia del tutto al latente riferimento rappresentativo,
per assumere in prima persona, senza allusioni o suggestioni, si
direbbe nel proprio spessore fisico, tutta la misura dei significati".
Siamo adesso al principiar degli anni Sessanta e per quasi tutto
il decennio Castagna sembra attratto da questa sostanza pittorica,
da questa pittura a rilievo che sulla tela va creando crepacci,
montagne, paesaggi lunari, screpolature, ferite; si vedano opere
come Composizione spaziale del 1960, Strutture rosse del 1961 o
Cattedrale del 1967. Sono lavori nei quali davvero si avverte una
straordinaria passionalità sorretta, ma non imbrigliata,
da un preciso rigore compositivo e formale. La temperatura del dipinto
è quasi drammatica eppure sobria ed austera; è come
una sorta di lava che si sia congelata senza tuttavia per nulla
perdere il ricordo della propria incandescenza. C'è in questi
lavori un qualcosa di naturale che sgomenta, come se fosse la materia
stessa a trovare una sua forma ed un suo ordine, al di fuori di
qualunque intervento umano.
Qui certamente l'artista ha presenti sia le "paste" di
Fautrier che le laceranti "combustioni" di Burri: la materia,
anzi la forma-materia, resta sospesa tra voluttà e dolore,
tra felicità e disperazione; la sua densità, che può
anche apparire "barocca", non è impiegata per puro
effetto decorativo, ma piuttosto instaura un campo di forze denso
e dinamico che coinvolge lo spettatore in una lettura lenta e graduale
che non è più soltanto ottica ma assume anche una
valenza fisica, quasi che le dita siano chiamate a "leggere"
al tatto tutte quelle ferite che, ciechi, più non vediamo.
Ma in questi lavori, e si vedano in particolare Ritmo bianco e Ritmo
nero rispettivamente del 1968 e 1969 secondo Giuffrè, c'è
anche la lezione di Klee per quelle variazioni di segni che si agitano
sotto la superficie delle "alte paste"; c'è per
certi aspetti lo spazialismo di Lucio Fontana e forse anche qualche
memoria dei neoplastici condita tuttavia con continue trasgressioni
espressive.
In tali opere, che per molti aspetti richiamano alla mente alcuni
esiti di Walter Valentini, la materia appare desolata, martoriata,
confusa nel caos eppure sorretta da un interno ritmo, da una cadenza
formale silenziosa che sa quasi di "icona del tempo" di
muri sgretolati dove appunto nessun altro se non il tempo, e per
lui la pioggia e il sole, va scrivendo la sua storia. Sono pareti
che sembrano alludere ad un "passato del futuro" in cui,
accanto alla catastrofe della distruzione c'è spazio per
il progetto della costruzione; in cui accanto al disfacimento della
materia resiste la validità di un assunto mentale. In questa
"stazione" di Castagna, dove alberga la "materia"
la coscienza realistica della catastrofe e del degrado dovuto al
passaggio del tempo è condizione che viene registrata ma
che tuttavia non intacca la solidità della struttura progettuale,
non impedisce la sua realizzazione in quel futuro che si intravede
al di là dei guasti del mondo.
Ma proprio in questi che, a mio parere, rappresentano gli esempi
più alti sul versante della materia, in questi Ritmi bianchi
o neri che rinunciano a tutto illuminati o annotati nel loro statuto
monocromo, affidati ad una cristallina purezza formale; proprio
in questa materia con la quale Castagna restituisce la prospettiva
rinascimentale alla sua concezione razionalistica della "piramide
visiva", e dello spazio "uno e trino", l'artista
riparte, volta pagina e si avvia all'altra sua fondamentale stazione,
quella appunto della forma che già aveva avuto i suoi presagi
in certe forme geometriche, debitrici in parte di Magnelli e di
Veronesi, che risalivano alla fine degli anni Cinquanta.
La forma e la geometria irrompono a partire dagli anni Settanta
quando Castagna comincia a soffermarsi con insistenza sui valori
di superficie e sull'autonomia sintattica dei segni. A parte alcuni
lavori ancora geometricamente stabili come Ritagli, una tempera
del 1970 che bene indica da dove qualche artista messinese ha copiato
(ma questo sarebbe un capitolo tutto da approfondire) o come Foglio
arancio e viola dello stesso anno e Moduli del 1971, è a
partire dalla serie che generalmente l'artista chiama Striscia che
Castagna, mentre da una parte sembra affidarsi, esaltandola, alla
bidimensionalità della pittura, dall'altra la mette in discussione
con il ricorso frequente alle distorsioni della forma e alla ambiguità
percettiva.
La geometria che è principio di certezza, di sicurezza di
tranquillizzante ordine viene in sostanza scardinata ed avvelenata
da un fattore soggettivo legato alla memoria che provoca slittamenti
di senso e sprofondamenti metaforici. In sostanza adesso Castagna
opera in modo eguale e contrario rispetto a quanto aveva fatto con
la materia: allora l'incandescenza veniva congelata, adesso è
la freddezza che viene surriscaldata; allora dietro il magma del
caso c'era la vigile coscienza, adesso dietro l'apparente ordine
c'è il soffio della fantasia; prima dietro la parete diroccata
dal tempo c'era il progetto mentale, ora sulla razionalità
programmata soffia un vento di racconto.
Castagna ora va cercando forme geometriche irripetibili che si snodano
secondo il calcolo dell'immaginazione; sono forme di crescente complessità
che si autogenerano nello spazio colorato del quadro e che, a volte,
vi affondano dentro perforandolo, trasformandolo in una sorta di
"campo percettivo" attuato nello stile del miglior design
(si noti la estrema ed ossessiva pulizia dell'esecuzione) e con
una strumentazione che a volte diventa risonanza optical e che si
impone per una notevole carica decorativa, nel senso di ornamento
dell'immaginazione e del subconscio. È chiaro qui non soltanto
il riferimento generico a quella "pulizia pittorica" che
a suo tempo auspicarono gli astrattisti di Forma Uno, ma soprattutto
il preciso collegamento con Achille Perilli che proprio agli inizi
degli anni Settanta stava sperimentando queste forme nello spazio
(si pensi ad esempio alla bellissima mostra che l'artista romano
tenne alla Marlborough nel 1975 dal titolo Machinerie, ma chère
machine).
In queste nitide strutture campite su fondi monocromi, sotto l'apparente
semplificazione dell'immagine (che è cosa del tutto diversa
dal suo impoverimento) si annida la nozione kleiana dei "ritmi
strutturali divisibili", cioè a dire della percezione
della forma come comprensione e comunicazione dei complessi meccanismi
da cui la sua logica ha origine. Dunque c'è il rifiuto del
dato visivo puro e semplice nella sua elementarietà, cioè
a dire della pura "apparenza" e la volontà di seguire
la costruzione dei segni per capirne l'essenza mentale e concettuale;
o meglio sotto l'aspetto della bidimensionalità semplice,
geometricamente necessaria ed apparente, si nasconde piuttosto la
complessa rottura del campo pittorico e l'irruzione di un complicato
processo mentale che è fatto di memoria, di scompaginamento
delle prospettive e delle geometrie, di materiali immaginativi a
sopresa.
La geometria nella sua forma elementare, diventa in tal modo una
sorta di racconto che ci parla di ciò che accade in quell'indecifrabile
e labirintico territorio che è il cervello umano: Castagna
in sostanza eccita i percorsi del pensiero al quale dà una
situazione formale mutevole. Proprio per questa via, a parte i differenti
esiti cui perviene, l'artista palermitano sembra riagganciarsi oltre
che a (o, forse attraverso), Perilli a quella concezione dello spazio
inteso come dimensione immaginativa dell'uomo che fu propria di
EI Lissitskij che parlava di uno spazio variabile e intesamente
articolato che avrebbe dovuto far parte di una condizione quotidiano
e dunque contribuire alla nascita di un nuovo modo di vivere e di
sentire.
Ancora una volta l'artista palermitano indica la strada dell'utopia,
di una dimensione cioè fantasticamente ordinato, dove la
componente psicologica di Klee posso beatamente e ingenuamente convivere
con il razionale sviluppo del tessuto geometrico; ecco l'utopia
che all'altra si accompagna, di un progetto di ordine che resista
anche alla catastrofe della materia.
Sono queste quindi le due stagioni più importanti di un artista
che ha inteso sempre l'atto creativo non come momento compiuto,
chiuso in sè ed esaurito, anche se perpetuabile in eterno
o almeno fino a quando qualche gallerista o mercante a tanto costringe
in cambio di un modesto foraggio, ma come gesto continuo, coordinato,
nel quale ogni traguardo ne presuppone un altro ed ogni ipotesi
azzardata é immediata apertura di altre soluzioni. Per Castagna
può, infine, dirsi quel che giustamente Achille Perilli disse
per sè: "lo non credo che il quadro sia oggetto d'arte,
credo che sia oggetto di ricerca. Credo alla sequenza di ricerca
che si attua come serie di procedimenti e di gesti che si compiono
in un arco di tempo determinato o indeterminato".
Ora, a parte i livelli raggiunti dall'artista palermitano, a parte
il complicato calcolo di debiti (Fautrier, Burri, Afro, Capogrossi,
Perilli, Klee) che ha contratto e di crediti (e qui a Messina lungo
sarebbe l'elenco di quanti dovrebbero mettersi in fila nel registro)
che vanta; a parte la sua discontinuità ed il suo eclettismo,
proprio di questa "lezione" bisogna essergli infinitamente
grati (dunque all'iniziale domando può rispondersi dicendo
esser la presente mostra un omaggio ed un ringraziamento). Egli
ha indicato come la pittura sia da intendere quale ricerca ed ha
dimostrato quale sia la strada per superare da una parte lo sperimentalismo
fine a se stesso e per garantire dall'altra al lavoro artistico
il necessario grado di mobilità e di indagine.
Ma accanto a questa lezione (che non guasta riproporre c'è
anche un altro rilievo che in tutto legittima e dà senso,
al di là del ringraziamento e dell'omaggio, a questa mostra:
mi riferisco al minore impatto di avversione che essa certamente
suscita nel vasto pubbblico rispetto a quella diffusa circospezione
con cui la pittura di Castagna era vista a Messina negli anni del
suo apparire. Il che significa che qualcosa grazia anche a Castagna
è mutato non nell'opera dell'artista, ma certamente in quanti
oggi la sua opera guardano.
Lucio
Barbera
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L'ARTE,
LA RICERCA E L'INSEGNAMENTO DI SALVATORE CASTAGNA
Spesso
occupandomi di artisti formatisi o operanti in Sicilia mi sono trovato
sulle tracce di un percorso creativo di cui non mi era difficile
scoprire chi era stato il maieuta, chi aveva saputo legare sensibilità
e giovanile talento a un metodo senza che tuttavia risultassero
sacrificati invenzione e libertà creativa. Tra Palermo e
Messina, soprattutto a Messina dove è ancora chiaramente
leggibile l'impronta del suo originale magistero, Salvatore Castagna
ha dato un contributo di primaria importanza negli anni Cinquanta
alla formazione di una generazione di artisti. In tutti questi è
ben visibile come utilmente siano stati sollecitati verso un'adesione
moderna alla cultura reale dei materiali e delle tecniche utilizzate
e alla formulazione conseguente di una nuova opera attiva nel senso
dell'efficacia rappresentativa ed irreversibile nella sua obbligata
determinazione strutturale.
Credo che ogni, dovuto, ricordo di Salvatore Castagna non può
separare i tre aspetti della sua vita laboriosa e schiva: l'opera
di un artista intelligente e non convenzionale, il produttivo insegnamento
che tanta parte assorbì delle sue energie, la rigorosa ed
affabile misura di umanità.
Ho nitido il ricordo dell'ultimo dei non frequenti, ma sempre cordiali,
miei incontri con Salvatore Castagna. Nel 1978 eravamo entrambi
per diverse incombenze professionali a Messina. Castagna era lì
per la sua mostra antologica, poi limpidamente introdotta in catalogo
da Guido Giuffrè, voluta e organizzata da alcuni allievi
messinesi tra i più fedeli, ormai suoi colleghi ed amici;
io, per tentare di realizzare una mostra documentaria sul contributo
di Messina alla cultura figurativa dell'isola nel dopoguerra (che
a mio giudizio resta il più rilevante e produttivo) e che
pensavo di poter intitolare, calcando l'ambiguità semantico-storica
di una tale indicazione, da Messina. Nel corso della giornata di
eravamo incrociati più volte nella città, dentro gli
stessi percorsi quasi obbligati di luoghi e persone dell'arte.
La sera, in un piccolo ristorante fuori porta, su una terrazza aperta
verso il suggestivo scenario dello Stretto disegnato da uno specchiato
binario di luci, tra rari amici, Castagna sollecitato dalla occasione
della "antologica" che lo obbligava a un bilancio (tra
consuntivi e programmi, per indole era più incline a fare
nuovi progetti) poteva spiegare, senza enfasi, quelle che erano
state le chiavi della sua vita operosa.
Si può fare l'artista dovunque - al Sud come al Nord, nelle
piccole città come nelle grandi - a due condizioni: tenersi
a una personale etica, oltre che poetica, del lavoro artistico,
e non cedere mai alla vischiosa e pigra omogeneità delle
culture periferiche e alla ufficialità artificiosa di quelle
metropolitane, distinguendo cioè sempre qualità e
non qualità, valore autentico e non valore.
I migliori allievi, gli amici di Castagna, possono confermare come
egli si è ottenuto sempre a questa regola essenziale.
Da questa chiara convinzione veniva a Castagna una serenità
che gli faceva accettare, senza ansietà, la condizione di
artista e maestro isolato - al di fuori dagli schemi diffusi di
risentimenti generici astiosi - e una "curiosità"
autentica verso ogni espressione del nuovo.
Egli era ben attento a riconoscere un'immagine originale, sostenuta
solo dal proprio interno ordine e ritmo, e a cogliere il ruolo di
una tecnica consapevole, ogni volta inverata nella diretta processualità
plastica e mai assunta passivamente come un tramite non significativo.
Questa attitudine, determinata e non provinciale, nei confronti
del proprio lavoro e del generale universo delle arti visuali, Castagna
ha saputo trasmettere con naturalezza, ai migliori dei suoi allievi
spingendoli così negli anni successivi a risultati non banali
nè scontati anzi di sicuro rilievo, riconoscibili a qualsiasi
latitudine.
La coerenza, il rigore e la lungimiranza di una vita largamente
dedicata alla didattica dell'arte - per Castagna, l'artista e l'insegnante
non si posero come ruoli in elisione, ma come una duplice manifestazione
di intenti, una verifica incrociata tra due polarità bilanciate
e congruenti di uno stesso irrefutabile destino - trova un rispecchiamento
lucido nella più interna opera di artista. Una tale condizione
non deve essere considerata eccezionale se non per i risultati raggiunti:
l'arte moderna svela percorsi paralleli tra didattica come approfondimento
di ragioni specifiche, e produzioni artistiche come "messa
in opera" di meditate strategie operative indirizzate nel senso
di una nuova definizione plastica. I nomi dei maestri del Bauhaus
possono considerarsi esemplari e moltiplicabili, in Italia, molte
volte, per restare solo ad alcuni artisti tra i più noti
della generazione di questo dopoguerra, in quelli di Guidi e Vedova,
Carrà e Morandi, Veronesi e Guttuso. In ogni caso, il "buon
maestro" non ha mai ostacolato il "buon artista".
Al contrario ha reso spesso più nitido e-diretto il segno
di una nuova comunicazione espressiva.
Guardare alle tappe più importanti della carriera, di artista
di Castagna può risultare utile per mettere a fuoco la coerenza
e la libertà dai condizionamenti di un itinerario non convenzionale
e, senza dubbio, fruttuoso.
Gli anni messinesi, tra il 1954 e il 1967, sono, anche da questo
punto di vista importanti in quanto individuano come una sorta di
spartiacque tra esperienze diversamente segnate. II sodalizio intellettuale
con Salvatore Pugliatti, autentico animatore della scena culturale
messinese e con gli amici del "Fondaco" (dove Castagna
espone più volte a partire dal 1958) si rivela stimolante.
Non può essere dimenticato che la partecipazione alle Quadriennali
romane del 1960 e del 1965 e soprattutto le mostre nella galleria
Numero a Firenze (1961) e nella galleria romana de II Vantaggio
(1965) che rappresentano una saldatura automatica con il clima di
ricerca più avanzato oltre che un valido riconoscimento critico,
sono di questo periodo.
Castagna ha vinto nel 1949 il primo premio della grande Mostra Internazionale
dell'Artigianato a Firenze, un riconoscimento prestigioso che va
considerato nella sua giusta portata.
La prima attività di Castagna è infatti largamente
orientata verso una esplorazione sapiente di tecniche e materiali
della tradizione decorativa italiana ricondotta sempre a una efficace
dimensione moderna (si pensi al lavoro degli stessi anni di autori
come Giò Ponti o Sottsass giovane o Fausto Melotti dal versante
dell'attività ceramica). L'indole "curiosa" del
ricercatore trova spazi liberi e aperti in un universo che, solo
per convenzione, siamo stati abituati a considerare come laterale
o addirittura secondario rispetto al mondo delle "icone"
affermative (per fortuna, oggi, la "condizione postmoderna"
ha scardinato questo preconcetto).
Nei primi anni Cinquanta, mentre in Italia si configura, in opposizione
al realismo didascalico, un'articolata e polemica linea astratta,
Castagna dal settore, relativamente minore, della sua attività
di pittore e disegnatore avvia un'originale ricerca che trasporta,
alla lettera, nel "corpo" della pittura tensioni materiche
e formulazioni tecniche innovative.
Il corpo della pittura "astratta" di Castagna, come dimostrano
le opere degli anni Cinquanta e Sessanta, non è mai inerte
ma stratificato e splendente, vibrante dentro una propria luce.
Man mano che negli anni questa pittura, che ha memoria consapevole
di un continuo ricercare nelle ragioni creative della fattualità,
cresce, si assiste come a una espansione secondo due rami. Da una
parte, nella pittura di Castagna la materia è vitalisticamente
deposito "concreto" di cromie e lucentezze metalliche,
di trame scandite secondo un proprio interno ritmo dentro valori
di superficie non dichiarati ma impliciti. Dall'altra parte, c'è
in questa pittura una espansione verso un'esplicita linearizzazione
del campo del quadro dove si ha un assorbimento di ogni corposità
e ridondanza.
Castagna, che dei pittori astratti operanti in Sicilia negli anni
Sessanta è sicuramente uno dei più originali e significativi,
in questa singolare opera raggiunge un'immagine di inedita suggestione.
È un'immagine graficamente ben delineata, ma non immobile.
Il pittore attiva una geometria dinamica, spesso una topologia,
che ama dichiararsi in una luminosità effusa e continua.
È una "visione della mente" dove si riflette una
visione terrestre che forse solo la lunga contemplazione e consuetudine
con l'orizzonte di Messina poteva far maturare. La geometria rigorosa,
spesso fredda nelle sue partizioni, negli affrontamenti duri della
tradizione di molti pittori astratti nordeuropei, qui si illumina
di una continuità fluida quasi dentro a un percorso armonico.
Il pigmento cromatico acquista valore determinante, è però
sempre materiale attivo oltre che illusione.
Così nelle ultime opere Castagna sembra aver ricondotto a
una ragione più profonda e segreta le determinazioni di una
intelliggenza creativamente curiosa che aveva saputo toccare vantaggiosamente,
in una sorprendente metamorfosi moderna, tecniche antichissime e
rare. Ciò che ci offre, ancora oggi, è una testimonianza
riconoscibile di come sia possibile intrecciare in un'opera d'arte
le procedure induplicabili di una tecnica singolare, sapiente e
affinata, e il lucido senso del mondo che ogni artista porta con
se; per se e per gli altri.
Il poeta Rilke aveva scritto:
e c'è ogni cosa dentro, ed ogni estremo
che può esser nostro: d'essere, posare,
trattener, mai concedere, ristare:
estremo anche per noi
Credo che chiunque ha incontrato Salvatore Castagna, può
in questi versi, distanti ma universali, riconoscerlo nella infrenabile
e produttiva curiosità, nel rigore senza accomodamenti, nell'umanità
alacre e mai rassegnata.
Milano,
dicembre 1989
Vittorio Fagone
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LA
LEZIONE DI SALVATORE CASTAGNA A MESSINA
Per
chi, come me, ha conosciuto Salvatore Castagna nella scuola è
difficile pensare all'artista senza considerare il didatta e viceversa.
Perchè questa interazione tra i due modi di manifestare
la sua personalità non era una deformazione professionale
ma una seconda natura, un "habitus" che a pochissimi
ho visto assumere meglio che a lui.
Infatti per Castagna essere maestro significava piuttosto "fare"
che "dire". E questo metodo (anche se ha un inesitabile
risvolto negativo) è quello in cui indubbiamente didattica
ed operare artistico son un unicum inscindibile.
Ciò premesso non si può asserire che Castagna fosse
soltanto un pittore anche se le sue mostre personali hanno toccato
unicamente il settore della pittura e quello della grafica.
Nell'istituto d'Arte di Messina, che con lui aveva mosso i primi
passi, Salvatore Castagna - che prima di assumerne la direzione
era stato insegnante di laboratorio a Palermo - indirizzava personalmente
a tutti i tipi di esperienza: da quella degli arazzi in rafia
e lana a quella dei gioielli, dei costumi d'epoca, degli oggetti
d'uso, a quella dei manufatti privi di concreta utilizzazione
pratica (una volta chiamati, in nome di una pretesa distinzione
di rango, "arti maggiori").
Il risvolto negativo della didattica staturente dal "fare"
anzichè dal "dire" - cioè dalla esemplificazione
concreta anziché da quella basata su astratte premesse
concettuali è abbastanza evidente. E deriva dal fatto che
tale sistema di esemplificazione da parte di un'artista - che
equivale a dire "guardate come faccio io e cercate di trarne
profitto" - porta i discendenti a seguire quasi alla lettera
i modi del maestro e ad essere affettuosamente ma inesorabilmente
plagiati.
Infatti i suoi migliori allievi messinesi (Brancato, Cicala, Dentici,
Freiles, Gusmano, Rando, ecc.) erano per un certo tempo tanto
legati ai suoi stilemi da annullare in essi quelle caratteristiche
distintive che poi avrebbero compiutamente manifestato affermandosi
anche fuori dell'àmbito locale.
Un'altra peculiarità di Castagna - piuttosto infrequente
in un mondo artistico chiaramente manicheo - era quella di convivere
con estrema naturalezza ( e cioè senza alcun brusco passaggio
e forzatura) sia con l'astrazione che con la figurazione. Mentre
in altri artisti, anche di straordinario livello, il trascorrere
dall'uno all'altro settore ha costituito e costituisce tuttora
una sorta di "passaggio del Rubicone". Nel senso, appunto,
che questa traslazione - passeggera e definitiva - assume un significato
di trasgressione o di viaggio nell'ignoto o di "vacanza"
(cioè di fase di momentaneo disimpegno i cui risultati,
di conseguenza, non si assumono prudenzialmente in un bilancio
preventivo).
Per Castagna invece - e questo é un altro segno del suo
infallibile istinto e della sua eccezionale intelligenza artistica
- portare con sé "sempre" (cioè anche
nelle opere figurative) il bagaglio delle esperienze astratte
era lo stesso che per un musicista contemporaneo non potere fare
a meno "comunque" di quanto, dopo la nascita della dodecafonia,
è culturalmente acquisito cioé non più ignorabile.
E, per converso, nelle opere astratte il substrato figurativo
é ben evidenziato fin dai titoli delle opere che, anche
nella fase della sua parabola artistica contrassegnata da una
maggiore stringatezza cromatico-compositiva, diventano anche essi
meno descrittivi ma non si astrattizzano del tutto.
E per questo che, continuando questa sintetica analisi comparativa,
non é difficile paragonare Salvatgore Castagna a Gino Contilli,
che, quasi contemporaneamente a lui, gettava le basi dell'Istituto
Musicale Corelli.
Un altro segno distintivo della personalità di Salvatore
Castagna é più che la padronanza della tecnica (meglio
delle tecniche) l'uso di essa non come freno, ma, al contrario,
come stimolo alla creatività.
Per cui l'essersi formato come docente di laboratorio per le arti
applicate (cioè come esperto di manualità) é
significativo ed offre una chiave di lettura della sua opera tra
le più chiarificanti. In altri termini per lui la sapiente
stesura del colore su un quadro o la inedita concatenazione delle
maglie di una collana o altro ancora non erano solo mestiere ma
manifestazione di una straordinaria felicità inventiva
e di una continua eccitante sfida tra sapienza tecnica ed equilibrio
formale.
L'ambientazione di Castagna a Messina per uno con le sue qualità
umane non era stata difficile. Egli era un assiduo del gruppo
che gravitava attorno
alla "libreria dell'Ospe" ed in questo prestigioso cenacolo
culturale senza sfoggi dialettici (lui per sua natura schivo e
di poche parole) aveva un posto di rilievo. Tanto che, lasciata
Messina, non gli era stato facile dimenticare e rimpiazzare gli
amici messinesi (primi fra tutti i due fondatori dell'Ospe Salvatore
Pugliatti e Antonio Saitta) anche se erano vicini a lui artisti
quali Aldo Calò, Enrico Paulucci, Edgardo Mannucci, Achille
Pace ed altri.
Avendo egli assunto - dopo gli anni della direzione degli Istituti
di Civita Castellana e di Anzio - funzioni ispettive nell'àmbito
dell'Ispettorato per l'Istruzione Artistica, non é facile
ipotizzare come un uomo siffatto, per cui appunto arte e didattica
costituivano un unicum inscindibile, abbia potuto colmare certi
vuoti, ritrovare perduti equilibri e stimolare nuove spinte creative.
O forse il dissolversi del binomio arte-didattica (per uno caratterizzato,
secondo una felice definizione di Guido Giuffré, da "la
inquieta vitalità, la grazia pittorica e la straripante
inventiva") gli dava maggiore possibilità di ripiegamento
su sé stesso e di introspezione della propria genesi artistica.
O è possibile, infine, ipotizzare che l'uscita dal vivo
della scuola sia stata determinata in Castagna, oltre che dalla
indubbia irrequietezza esistenziale da una certa - mi si passi
il termine - "saturazione didattica". Cioè dal
fatto che, nel rapporto dare-avere che nell'àmbito della
scuola si instaura,
Castagna risultava nettamente in attivo.
Ma se le risorse creative di Salvatore Castagna erano tante e
tali da portarlo con ardore sempre giovanile a svecchiarsi ed
a cercare nuove strade, quasi sicuramente il periodo della direzione
dell'istituto Statale d'Arte di Messina resta la sua stagione
più felice e la inventività che metteva in moto
con il suo entusiasmo, il suo estro e la sua maestria tecnica
era tanto straordinaria che il rievocarla oggi, dopo non molti
anni, ha quasi dell'incredibile.
Infatti la storia dell'Istituto d'Arte di Messina iniziava come
quella di una scuola che era, fin dal rodaggio, un istituto-pilota
nonostante una situazione logistica a dir poco avventurosa e malgrado
la città per lunghi anni non si accorgesse di possedere
una simile fucina di aggiornatissima creatività.
Con la premessa di queste considerazioni la mostra odierna che
viene allestita ventidue anni dopo la partenza di Salvatore Castagna
da Messina e ad un anno dalla sua morte (che gli impediva l'agognato
rientro a Palermo) vuole dimostrare che le sue opere costituiscono
un solido supporto alla lezione del Maestro (nel senso squisitamente
didattico della parola), che in questa mostra é soltanto
adombrata attraverso una stringata selezione di pezzi realizzati
nel "suo" Istituto, ma risalta a tutto tondo attraverso
i quadri.
Aldo
Indelicato
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