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Chi
vive Messina
Chi vive Messina avverte la diaspora di Mito
e Storia, costretti a fuggire dalla città del Novecento. Forse
attende il loro ritorno, alimentando la speranza che questa attesa
non sia vana. Chi vive la città dello Stretto, nella sua forma
assunta nel corso del XX secolo, si è posto una domanda banale:
«perché la discontinuità di questa terra, solcata
di greti e assediata di mare, non trova complicità alcuna con
i liquidi che la irretiscono?»
Il progetto di mare urbano, avviato nell’epopea di Lepanto con
l’esecuzione effimera di un ponte ligneo lanciato contro i flutti
per accogliere lo sbarco di don Giovanni d’Austria, subiva un’interruzione
circa un secolo dopo con i postumi della Rivolta. Quel secolo felice
(1571-1678) aveva mostrato il metodo e il solco attraverso cui armonizzare
la città a una politica che traeva la propria ispirazione dalla
straordinaria natura dei luoghi. Nel 1622, in particolare, con la
ricostruzione della Palazzata delduchiana, l’espansione urbana
sul fronte della superficie talassica non proponeva case galleggianti
o ponti di barche e neppure utopie lagunari alla Alvise Cornaro.
Attuava nuove politiche architettoniche
affidate alla poetica e alla retorica aristoteliche, allestiva la
città storica a capitale della mediterraneità, ben oltre
la Sicilia e il suo Stretto. Poteva – allora – disporre
del convincimento di un’alleanza di straordinaria potenza con
il mare di Nettuno-Poseidon, cui erano stati consacrati in origine
i monti Peloritani, chiamati Nettunii ancora nella toponomastica di
alcune carte geografiche del secolo XIX. Alleanze, intese o complicità,
capovolgendo
la dinamica dell’origine, «lo Stretto» era certo
diventato «di Messina», quando invece era stata la città
a trarre la propria forma dai flutti.
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Quel mare da molti secoli aveva
ispirato-costruito la differenza urbana E una città che nasce
dal mare non può che organizzarsi per differenze: non è
mai lineare ma sinuosa, non può essere compatta ma porosa,
non antagonista ma seduttiva, non rigorosa ma tollerante. Già
la città dei Normanni aveva imparato ad accogliere tutte le
etnie colà condotte dal rilancio portuale del XII secolo, aveva
assecondato le loro esigenze residenziali, di stoccaggio, di commercio,
adeguando la propria morfologia non certo al rigore della geometria
quanto alla poliedricità delle istanze: tra ogni forma perfezionata
sulla terraferma e la norma che l’aveva determinata era sempre
il mare come provenienza, il mare come ripartenza. L’arsenale
del Castellammare non casualmente ricadeva all’interno dell’urbs
vetus normanna, prima, e sveva, dopo. E tra quell’arsenale e
la prima installazione montorsoliana del fonte di Nettuno (1557),
non già sul molo, ma sull’acqua portuale, erano poche
decine di metri, come a rinnovare ai Messinesi il ricordo della mitica
origine urbana. Alle intuizioni montorsoliane era seguito il secolo
felice (1571-1678), quindi un riassestamento del regime proprietario
e sociale in quello successivo fino al terremoto del 1783, poi i fenomeni
protoindustriali e politici dell’Ottocento con una portualità
che di saldi positivi recava solo l’illusorietà del proprio
primato storico nell’Isola. Quindi il terremoto del 1908 e le
leggi della ricostruzione che della città hanno sconvolto ogni
codice di appartenenza. |
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Nelle
opere degli artisti che interpretano Messina vivendola, è un
languore afasico originato da un interstizio fertile di creatività:
vedere l’invisibile, quando riesce a farsi largo nella folla
del nulla. Da qui l’artista trasforma l’afasia in linguaggio,
in opus.
Il fenomeno è comune a quanti – pittori, poeti, ma anche
filosofi e storici – riescono a liberarsi della città
del Novecento, a non vederla, a oltrepassarla. Il fenomeno si rende
transitabile in particolari condizioni: al confine tra il tangibile
e l’irreale, tra ciò che esiste e l’universo che
della città storica ci è stato sottratto. Così
come ogni città – Siena e Venezia, Firenze e Roma, Genova
e Torino, Napoli e Palermo – può recare alla memoria
un profumo, una icona, un sapore, anche Messina, da quell’interstizio,
lascia evaporare la propria assenza. La fragranza, la sua essenza
consiste proprio di questo: avvertire la città dello Stretto
come assente. Ma è tuttaltro che nostalgia. «Assente»
è colui che oggi non si trova laddove è richiesta la
sua presenza; colui la cui presenza è autentica opus, è
produttività. La fessura urbana da cui si sprigiona la visione
dell’altra Messina – l’interstizio – appare
come strumento
di passaggio: una porta che improvvisamente conduce in altra dimensione,
al sensibile sogno che strappa e ricongiunge. La porta di Francesca
Borgia è la Lanterna. La terra del passaggio la Falce. Io condivido
pienamente con Lei quella porta e quella terra.Nessun artista che
avverta la potenza del luogo urbano riprodurrebbe piazza Duomo o altre
piazze della città, nessuno il gallo o il leone di mezzogiorno.
Non è casuale che alcuni di essi abbiano sentito il bisogno
di rappresentare la penisola di San Raineri. |
La
Falce come deriva della civiltà urbana del Novecento, come
isola abbandonata da quella civiltà. La Lanterna come caposaldo
indiscutibile di un territorio marino, teatro galleggiante, isola
del mare urbano, simulacro dell’assenza, avancorpo del nulla.
Nei
“quadrati” di Francesca Borgia è tutto questo e
anche più. La scelta della figura geometrica, cara ai rinascimentali,
come modulo fisso, come supporto a partire da dove è possibile
trascrivere l’invisibile non può non ricordare il Geviert
heideggeriano, l’unione di terra e di cielo, di mortali e divini.
Un «quadrato» da dove – il più delle volte
piangendo – i colori invocano una dispersa ontologia messinese.
Un quadrato, dunque, di mare e cielo ma, soprattutto, di mortali e
«divini».
La Falce della Borgia è terra di approdo, come lo fu per i
Popoli del mare e, dopo secoli, per i coloni greci. Ricerca di un
luogo da dove ricominciare; indagine sull’unica origine possibile.
Ma quella speranza reca la lucidità di uno sguardo disperato.
Se la Spadara naviga nei Quadrati come misura onirica di una resistenza
culturale, se ogni figura sembra disperdersi nell’apeiron del
mare non addomesticabile, se ogni barca è semplice nostalgia
di navigare, oggetto anchilosato, già museo, priva com’è
di rematori, allora il tema horcyniano della voga che sale –
il suo vigore proteso all’origine cariddea – ha ormai
virato verso un presente tragico o – se si preferisce –
verso un presente di mortificazione ininterrotta.
Chi vive Messina sa di potere affidare agli artisti un grido soffocato
e attraverso i loro occhi sensibili rappresentare lacrime di quel
mare che ha disperso la sua città, che ha rinunciato alla grandiosità
della sua piazza portuale.
Si possono vedere navigare gli oggetti falce-lanterna-spatara ormai
senza rotta, come reperti di cui si sia dispersa la memoria del sito
di provenienza, la data di appartenenza, i nessi storico-culturali
che ne giustifichino la presenza. Il danno più grave di un
secolo di ricostruzione è la dispersione della differenza.
Falce, Camaro San Paolo, Annunziata, Boccetta oppure Lanterna, Monte
di Pietà, Palazzetto dello Sport, Palazzo della Cultura, Annunziata
dei Catalani, Cooperative edilizie, Smeb, Ente Porto: tutto galleggia
con pari peso specifico. Galleggia sull’urgenza del quotidiano
da consumare. Chi tra i Messinesi sa più distinguerne la differenza?
Chi sa nominarne l’identità?
Quanti hanno amministrato la città dal piano di ricostruzione
in avanti hanno imparato a direzionare lo sguardo sulla contingenza,
a commisurare l’intervento sulle superfici fuorvianti, a cogliere
il consenso dalla patologia urbana, a costruire i prolungamenti delle
malformazioni, a credere in buona sostanza che quella sotto i loro
occhi fosse realmente Messina!
Francesca Borgia vorrebbe urlare la propria indignazione, vorrebbe
fermarsi a dispiegare i reperti, a mostrarne la lezione, a indicare
il libero transito verso la città invisibile. Nei suoi Quadrati
è un disegno cultural-politico che i Messinesi tutti farebbero
bene a studiare fino alle estreme conseguenze.
Nonostante le mille mortificazioni, la città storica continua
a parlare con chiarezza: se solo ci si fermasse ad ascoltare l’appello
di identità che sale da ciascun monumento e soprattutto dal
coro che sale dalla Falce capiremmo quanta ignavia ha guidato la città
del Novecento.
Nicola Aricò, 2008 |
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Francesca
Borgia ci propone il mare
Il suo mare, che è fuori e dentro di lei. Fuori, perché
è davanti ai suoi occhi; ma dentro, ne è pervasa come
può esserlo un naufrago. Un naufrago che non si arrende, che
vuole ancora e sempre combattere, ma che sente di dover avere un “custode”
che lo guidi verso la terra ferma. Francesca sogna di potere essere
guidata da un faro che, ruotando le sue luci, la veda, la riconosca
e la salvi. Ma non è poi certo che quella luce si poserà
su di lei. E allora, che fare?
Bisogna chiamare a raccolta altri naufraghi, che, condividendone la
sorte, si aprano ad una riflessione lucida che porti alla salvezza.
Riflettere, pensare, dice Francesca, ma da sola, pur avendo tentato,
non ce la fa più. E lei, Francesca, ha molto riflettuto, ascoltando
se stessa, come dice, ma ancora di più, come sa chi la conosce,
ascoltando gli altri. E riflettendo, pensando, ha paura di avere smarrito
la propria identità, al punto che ne vorrebbe acquistare una
nuova. Ma quando arriverà questo “custode”? Chi
dovrà chiamarlo, se non tutti insieme quelli che, come lei,
debbono salvarsi dalla notte? Francesca ha dalla sua parte la sua
pittura, la sua arte, e mentre lei vive con passione questo suo mare
anche fisico, questo suo blu, mentre ne è avvolta e perduta,
ne ascolta il respiro, i racconti, con una passione, che per fortuna
non è ancora disperazione. Così Francesca, con la sua
pittura, offre questo mare a chi lo voglia vedere e sentire come lei.
Verso sera, la terra in lontananza si tinge di rosso, ma è
un momento, poi cala la notte e tutto si immerge nel grande blu. Talvolta
capita di vedervi, smarrita in quel blu, una piccola barchetta. Ma
costante rimane la visione di quel faro, con la sua luce di speranza.Quel
faro, che Francesca vede anche come un occhio, sospeso tra cielo e
mare, ora più vicino, ora più lontano, ora svettante
verso l’alto, ora immerso nel “ventre liquido” del
mare, ora come un diaframma acceso di rosso. Quel faro ha attraversato
tanta storia, ha segnalato pericoli e ha soccorso chi si trovava in
pericolo. Quel faro, oggi, forse chiede anche lui di essere salvato,
in questo mondo sordo alla storia e alla bellezza, un mondo che sembra
promettere ma che non mantiene.
Teresa
Pugliatti, 2008 |
Note
a margine
Questi lavori hanno un significato non solo come ricerca pittorica
pura, ma anche o soprattutto per quelle implicazioni culturali, politiche,
psicologiche che fanno parte della mia vita di artista.
Il luogo geografico sorregge e accoglie l’apparire del colore,
ne contestualizza il senso, nutre l’opera e, spero, tradisce
l’intenzione di ascoltare il mondo circostante e se stessi.
La comprensione del BLU con le sue sfumature, mi pervade e scava nell’interiorità,
mentre la visione pittorica smembra, dissolve i contorni del mare
facendo emergere il carattere fluttuante di una comunità orfana,
priva del caro ansimare delle “cose”.
Questo è il MIO mare, ho gli occhi fissi alla sua stessa altezza,
sono così dentro al suo ventre liquido da sentirne il respiro,
i racconti, ed è per questo che ho sentito il bisogno di offrire
alla mia gente lo spunto per una riflessione collettiva: chi siamo?
Può esserci ancora una “guida” per noi naufraghi?
Desideriamo un “custode” che ci conduca alla gestazione
lenta ma inarrestabile di una nuova identità ?
Francesca Borgia, 2008 |
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Segnali
di vita
Esistono immagini insopportabili? Anzi: esistono ancora immagini insopportabili?
Nonostante tutto si potrebbe rispondere con un’affermazione.
Insopportabili non sono certo le immagini cruente, alle quali ci siamo
da tempo abituati, sono piuttosto quelle che, per schiacciante sovrabbondanza,
destabilizzano l’ordine delle cose.
Non è di moda, oggi, tollerare corpi ridotti a sola testa e
tronco, fatto salvo il compiacimento per i reperti di medicina legale
che appaiono qua e là in qualche fiction televisiva. Volti
senza nasi, occhi, palpebre, labbra, zigomi: tutta materia di pertinenza
della chirurgia estetica (o della Body Art quando si ricerca la percezione
del Sublime e dell’orripilante).
La pittura di Francesca Borgia non è un elogio dell’orrendo,
né tanto meno una esaltazione del macabro: si fa carico invece
di una subdola e inquieta “gradevolezza” minacciata però
da presenze cromatiche sinistre, violente e ostili. È piuttosto
un tentativo di riaffermare la dignità dell’immagine
e del segno, surrogati ai nostri tempi, da pixel e codici binari,
da simulazioni di immagini che adombrano le immagini stesse.
La scelta coerente del medium pittorico è garanzia di disciplina
e profondità e risponde alla domanda: cosa vedo?, laddove il
caos mediatico impone il quesito: cosa voglio far vedere? Credo che
Fancesca Borgia mai realizzerà un’istallazione video,
anzi glielo auguro, perché, altrimenti, dovrebbe rinunciare
al carico di informazioni e passioni che affida ad ogni pennellata.
Quando le immagini si prefiggono il compito di illustrare la realtà,
quando si pongono come documento fededegno (come nella cronaca giornalistica),
finiscono per il-lustrare il fatto, cioè renderlo lustro e
innalzarlo ad oggetto estetico; ovvero lo illustrano, cioè
lo rendono illustre relegando all’oblio tutti gli altri fatti
che, per incidente, non sono occorsi davanti all’obiettivo di
un fotografo o di un cineoperatore. Con questi quadri Francesca ha
ingaggiato una sfida troppo audace, perché si è appropriata
della illimitata materia visiva del fotoreportage, di cui noi siamo
assetati, anzi ghiotti e indomabili divoratori. |
Quante
volte abbiamo visto (e voluto rivedere) gli aerei che penetrano le
Torri gemelle? I suoi soggetti si prefiggono di smentire non la qualità
delle immagini riprese dai fotografi in Iraq ed in Afganistan, ma
la loro quantità eccedente che ha finito per consegnare quest’ultime,
ancorché di contenuto angosciante, alla pura oleografia e alla
calligrafia voyeristica. In altri termini, sfogliamo un giornale sbirciando
in tralìce il nudo di un uomo sotto tortura che sta per essere
azzannato da un cane e, nello stesso istante, il nudo di Naomi Campbell,
con l’affiorare dei sensi di colpa, pur tuttavia continuando
a sfogliare…
Francesca gioca quindi sui tempi di osservazione propri del quadro,
al quale ci si può avvicinare e dal quale ci si può
allontanare, con lentezza o rapidità. Si può inclinare
la testa per seguire una pennellata o una colatura, ci si può
disporre a lato, si possono cogliere i grumi di pigmento e le linee
fortemente marcate. Tutto ciò non ci verrebbe in mente con
un giornale in mano o davanti al televisore. Ecco che i tempi lenti
e l’interattività dell’osservatore permettono di
cogliere il Dolore e non la pena; l’Ingiustizia e non la contingenza,
seppure atroce, della tortura; l’Angoscia e non, genericamente,
il dramma (parola obbligatoria per il giornalista nei casi di calamità!).
I colori accesi, apparentemente “felici”, rimandano in
realtà ad una favola lugubre, senza riscatto; ovvero mostrano
l’esistenza della felicità e, al tempo stesso, l’impossibilità
di raggiungerla. Si tratta di una pittura adatta ad un occhio attento,
votata all’approccio empatico. Una pittura basata sull’estrema
semplicità delle forme che, depurate da ogni eccesso, riconduce
ad una percezione primitiva, ad un segno elementare, laddove è
troppo rassicurante il dilagante maquillage iconico.
Mortificazione corporale, fanatismo religioso, culto dell’intimo,
iconoclastia, è certo che Francesca Borgia, rappresentando
le grate del burqua, afferma la categoria del mistero, dell’occulto
e dell’inspiegabile, mentre è quasi d’obbligo una
spiegazione antropologica. Intanto che l’Occidente si ricopre
di tatuaggi, aggiungendo forme alle forme del corpo, nel mondo islamico
la forma agisce per sottrazione e nega il corpo come insieme di elementi
fisiognomici, lo si sottrae alla vista, lo si esalta come essenza
nel momento in cui se ne proclama l’assenza. Dai primi vasi
in stile geometrico, alla Crocifissione, fino alle braccia spalancate
del libertario spagnolo nelle fucilazioni del 3 Maggio di Goya, il
gesto delle braccia ha riassunto l’idea di disperazione senza
limite, religiosità e laicismo. Per questa mostra Ti penso,
Baci Baci e Sperso, sono i titoli ispirati ad una celebre lirica di
Salvatore Quasimodo. Dell’andamento poetico, Francesca Borgia
ha colto in profondità i valori sinestetici, i rigurgiti cromatici
e luministici: Le acque viola; ... Malaria gialla e terzana gonfia
di fango; …Presi fra i rottami e giustiziati al buio; …
Il tuo berretto di sole andava su e giù / nel poco spazio che
sempre ti hanno dato; … Quel rosso sul tuo capo era una mitria
/ una corona con le ali d’aquila; … I segnali di partenza
colorati dalla lanterna notturna; …Oscuramente forte è
la vita. Infatti, la vita è oscuramente forte, o forse luminosamente
debole.
Luigi Giacobbe, 2006 |
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NOTE
CRITICHE
FRANCESCO GALLO presentazione catalogo “Pittura &
pittura” 1992
... Il fatto che la pittura della Borgia abbia una derivazione ed
un riferimento tematico forte, è una manifestazione di cultura
viva, fascinosa, che si riversa poi nelle opere con una relatività
di sfumature che valgono anche fuori dalle parentele ed istituiscono
una corte parallela che si infittisce sempre più, man mano
che riesce ad emergere la sua netta personalità di indagatrice
per segmenti di verità, per frazioni di surrealtà
sospese nella staticità del silenzio che sembra avvolgere
le cose di cui si compone. Si potrebbe anche trattare di un paesaggio
visto troppo da vicino con trasparenti stratificazioni che sono
probabili sedimentazioni di diversi materiali psicologici provvisti
di una autonoma e allarmante luce propria, ma anche aspiranti, con
tutto un inconsapevole candore, alla luce.
LUCIO BARBERA presentazione catalogo “Il pensiero e la
retina” da I tascabili dell'arte Ed. Ezio Pagano 1993
... ancora una volta Francesca Borgia riesce a tradurre l'emozione
(l'altrove) in pittura (il qui) ma anche a porre questa come campo
evocativo dell'immaginazione che conduce ad infiniti "altrove"che
poi si determineranno in combinazione con il "qui" del
fruitore. Riesce, in sostanza, a far coincidere in
un rapporto dialettico, i due elementi della contrapposizione: da
una parte il dominio del razionale e del sistematico, la visione
totale della dimensione dell'esistenza come apparato concettuale
e dall'altra la pittura come spazio dell'irriducibile, dell'insondabile,
dell'ineffabile, dell'inesprimibile. Sicché superando la
distinzione tra costruzione ed invenzione può dirsi che l'emozione
più pura e travolgente nasce proprio dalla vetta più
alta della ragione che ha tradotto in struttura pittorica l'originario
stimolo del sensibile. |
STEFANIA
LANUZZA recensione giornale L’ISOLA “Un inno al colore”
1993 Francesca Borgia
…instancabile nello sperimentare i più svariati mezzi
linguistici ma Coerente nel trasfondere sempre nelle sue opere una
forte carica emozionale. L’artista conduce dagli anni ’70
una ricerca seria che attraverso fasi alterne dal figurativo è
approdata negli ultimi anni ad un astrattismo carico di vitalità,
che basa la propria originalità più sulle straordinarie
capacità espressive della materia cromatica che su rigorosi
geometrismi o fredde elucubrazioni intellettualistiche.
LUCIO BARBERA recensione su Gazzetta del sud aprile 1995
... uno spazio pittorico ottenuto a mezzo di sottili velature di
colore quasi trasparenti e liquide che favoriscono la penetrazione
e l'emersione della luce. I colori si sovrappongono e si vedono
in trasparenza, l'uno nell'altro e lo spazio non fisico ma assolutamente
mentale é dato proprio dalle distanze luminose. Una tale
pittura, all'interno della quale emergono anche forme richiede una
rigorosa disciplina che evidentemente sorregge tutto il lavoro dell'artista.
GABRIELE SIMONGINI nota critica al catalogo “La Sicilia
é un arcipelago” I contemporanei dell'arte Ed. De Luca
1998
E' nata a Messina nel 1958, dove vive a lavora. La sua pittura,
fondata su ampi campi di colore ricchi di evocazioni memoriali e
di esperienze simboliche del vissuto in cui si inserisce la controllata
“violenza” del gesto, esalta una contemplazione allarmata
ed inquieta del mondo contemporaneo di fine secolo, nell’ambito
di una ricerca aniconica. Sue mostre personali si sono tenute in
varie città italiane, da Catania, Messina, Siracusa, Taormina
a Brescia e Milano. Lucio Barbera ha rilevato il personalissimo
attraversamento da parte dell’artista messinese dell’espressionismo
astratto americano, di quella stagione cioè che, […],
è tra le più importanti che abbia vissuto l’arte
nell’ultimo cinquantennio di questo morente secolo. L’impegno
che adesso guida Francesca Borgia è quello di trovare l’equilibrio
tra elementi contrastanti, razionale ed inconscio, sentimento e
intelletto, vincolo e libertà; cioè a dire quello
di conciliare le opposte esigenze della struttura del dipinto e
della espressività del dipingere”. Della sua attività
creativa, tra gli altri, si sono interessati Teresa Pugliatti, Francesco
Vincitorio, Ezio Pagano, Giuseppe Frazzetto.
TERESA PUGLIATTI da “La pittura a Messina negli anni ’70
e ‘80” Museum Bagheria (PA) 2004
…Il percorso pittorico di Francesca Borgia ci appare come
una sorta di diario alla ricerca di se stessa, un percorso che,
al di là delle difformità delle scelte linguistiche,
e, proprio nel continuo mutare di queste, rivela l’autenticità
e quindi la coerenza del suo continuo ricercare. In altre parole,
Francesca non si sottrae al provare e riprovare, pur rischiando
di non essere compresa. Con lo stesso coraggio e la stessa passione
persegue da sempre le sue battaglie sociali. Aspetto, questo, che
mi piace sottolineare perché non può non apparire
con evidenza nelle sue opere pittoriche; forse perché per
lei l’autenticità del sentire, nel fare arte come nel
fare politica, non ha ragione di esprimersi a gran voce. E , al
di sotto del suo eloquio sempre gentile e discreto, o come ho detto,
della sua “ ingenuità”, si nasconde il temperamento
forte di una inarrestabile lottatrice.
ANNA MAIMONE da “ Il peso del colore in Francesca Borgia”
PAGNOCCO Trimestrale di cultura e informazione ed E.D.A.S n. 06
2005
…L’immediatezza della Borgia, la sua professione ideologica,le
scelte morali che costituiscono il background della sua opera conferiscono
un diverso spessore al discorso che affiora dalla sua pittura.
…La serie degli anni novanta (Desaparecido, Bosnia/Erzegovina,
il muro del pianto) non sono solo disperanti tentativi di fissare
sulla tela momenti particolarmente tragici della riflessione sulla
nostra storia, ma un interrogarsi sul senso e sul modo di un esserci
che non vuole e non può rinunciare alle grandi utopie della
cultura occidentale, la società solidale e giusta dei cristiani
e dei marxisti…
IN
LUCE video-installazione a cura dell’Ass. Artisti Visivi “Senza
chiedere il permesso” Messina 2006. Nota dell’Artista.
Evocazioni, visioni, proiezioni inducono a riflettere sul rapporto
che ogni artista nutre verso il proprio territorio.
Con la videoproiezione P. G. R. (Per grazia ricevuta) ricerco nelle
mie radici geografiche quella identità capace di confrontarsi
con altre culture. La rielaborazione grafica di un grande cuore
votivo proiettato sulla facciata del palazzo del catasto si offre
al passante come il simbolo attraverso il quale si intercede per
potere salvare la città da tutte le calamità che l’affliggono. |
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BIBLIOGRAFIA
•
TERESA PUGLIATTI – presentazione mostra Gall. IL LUOGO, Roma
1984
• T. PUGLIATTI, D. BRUNO – presentazione mostra libreria
HOBELIX, Messina 1984
• CAROLINA GULINO – presentazione mostra Gall. IL PROGRESSIVO,
Messina 1986
• MICHELE TRIMARCHI – recensione giornale Il Soldo ,
Messina 1986
• GIUSEPPE FRAZZETTO – presentazione mostra Anastasio,
Borgia. Otera, Zafferana Etnea (CT) 1986
• TERESA PUGLIATTI – catalogo mostra Luoghi confinanti
CRIPTA DEL COLLEGIO DEI GESUITI, Siracusa 1986
• EZIO PAGANO – Circumnavigazione 3 , I tascabili dell’arte
N. 16 Bagheria (PA) 1987
• T. PUGLIATTI, G. FRAZZETTO. D. FILECCIA – presentazione
catalogo Vivere il Mediterraneo, PARCO PENTIMELE (RC) 1987
•
GIUSEPPE FRAZZETTO – catalogo mostra Mare Nostrum, CASTELLO
ARAGONESE, Taranto 1987
• SEGNO rivista d’arte N° 68 1987
• GIOVANNA GIORDANO – “Estro in Sicilia”
FLASH ART N° 140 1987
• LUIGI. P. FINIZIO – catalogo mostra Rizoma radici
nel contemporaneo Napoli 1987
• JULIET rivista Art Magazine N° 37 Giugno 1988
|
•
GIUSEPPE FRAZZETTO – Solitari come nuvole, Maimone editore,
Catania 1988
• LUCIO BARBERA – catalogo mostra Collezione privata,
Picture in urbe PADIGLIONI IN FIERA Messina 1988
• FRANCO SOSSI – catalogo mostra Il canto delle sirene
Quaderni/Arti visive Taranto 1988
• DEDE AUREGLI, CRISTINA MARABINI – catalogo mostra
Biennale Donna Figure dallo sfondo 3, PALAZZO DEI DIAMANTI, Ferrara
1988
• ARTURO CARLO QUINTAVALLE – rivista PANORAMA Marzo
1988
• L. BARBERA, G. GIORDANO – presentazione catalogo EXPO
ARTE BARI 1989
• ARTE & CRONACA rivista d’arte N. 13 Marzo 1989
• LUCIO BARBERA – recensione Gazzetta del Sud 14 Gennaio
Messina 1989
• GIOVANNA GIORDANO – recensione Giornale di Sicilia
17 Gennaio 1989
• MARIETTA SALVO – recensione giornale IL SOLDO 18 Gennaio
1989
• GIORGIO DI GENOVA – presentazione catalogo “1°
rassegna d’arte pro Unicef”, Palermo 1989
• T. ZANCHI ANSELMI – intervista su mensile CASA OGGI
N. 187/188 1990
• TONINO SICOLI – catalogo mostra Le Muse inquietanti
– aspetti attuali della ricerca artistica femminile Ed. Mazzotta
Museo Civico di Rende (CS), 1990
• LUIGI GIACOBBE – presentazione mostra “Il sale
della terra” Riposto (CT) 1990
• E. CRISPOLTI, D. FILECCIA – presentazione catalogo
2° Biennale d’Arte Sacra Siracusa, 1990
• FRANCESCO GALLO – presentazione catalogo mostra Pittura
e Pittura, TEATRO VITT. EMANUELE Messina 1991 / ‘92
• LUCIO BARBERA – presentazione catalogo Il pensiero
e la rètina, CHIESA DEL CARMINE Taormina (Messina) ed. I
tascabili dell’arte Ezio Pagano N. 46 1993
• STEFANIA LANUZZA – recensione giornale L’ISOLA,
Messina 1993
• DANIELE DE JOANNON – recensione giornale CENTONOVE,
Messina 1993
• LUCIO BARBERA – catalogo mostra “Artisti al
museo”, TEATRO VITT. EMANUELE Messina 1994
• GIGI GIACOBBE – recensione giornale CENTONOVE, Messina
1994
• LUCIO BARBERA – recensione giornale Gazzetta del Sud,
1995
• L. BARBERA, G. SIMONGINI – catalogo mostra La Sicilia
è un arcipelago ed. De Luca Roma 1998
• MUSEUM catalogo ARTE CONTEMPORANEA IN SICILIA Bagheria (PA)
1998
• ANNA MAIMONE – rivista di cultura e informazione PAGNOCCO,
“Pittura come modo di esserci” N. 6 ed. E.D.A.S. Messina
2005
• LUIGI GIACOBBE – presentazione mostra “Segnali
di vita” Gall. ORIENTALE SICULA
Messina 2006
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