|
|
|
Modella
su carta su fondo rosa
|
...
La sua attuale produzione artistica si offre agli occhi di un
lettore attento come il punto di arrivo di un percorso che trova
origine nel concetto di "involgimento": nel suo studio,
liberamente "involge" cioè non esplicita, ma
implicita un tema, un'idea sulla tela! E piuttosto che estrinsecare,
tirare fuori un concetto, Mantilla ci si tuffa dentro, immergendosi
totalmente. Una sorta di sacralità pervade l'evento: si
instaura in un primo momento con la sbozzatura di numerosi schizzi,
e raggiunge l'apogeo nel lasso di tempo in cui viene dipinta di
getto, con velocità e vigore, strenuamente, la tela. La
vera opera d'arte per Mantilla è l'atto in cui materialmente
viene realizzato il quadro, cioè il momento nel quale il
pittore si spersonalizza ed entra dentro il dipinto, spogliandosi
di se stesso, offrendosi nudo all'Arte: musa, compagna, moglie,
madre, matrigna, donna e amante. Come un atto d'amore in cui l'arte
è come un enigma, una sfinge.
L'amore per la libertà di matrice bohèmien si fonde
nel pittore messinese con lo spirito naif teso alla volontà
di "cominciare daccapo" e superare l'accademismo, per
produrre qualcosa di puro, tanto che Franco Palmieri definisce
Mantilla un "artista primitivo, selvaggio nel senso di autentico
nel manifestarsi, di non colonizzato". Quando egli impugna
il pennello per dipingere la tela, perde la sua personalità:
come avviene ad un attore che deve lasciare la propria identità
per calarsi in un nuovo personaggio, allo stesso modo accade all'artista-Teseo
che deve spersonalizzarsi per potersi districare nel
labirinto-Arte.
E simile ad una sorta di purificazione, il pittore siciliano discende
in un'altra dimensione: vede, sente, ascolta, gusta, tocca e rimane
distaccato, obiettivo, razionale, per questo motivo nei suoi quadri
predominano colori freddi: dalle sfumature più chiare a
quelle più scure del blu, al bianco e al nero declinati
con tutti i toni del grigio.
Egli guarda la realtà dal di fuori, con le sue anomalie
e meschinità, l'osserva dall'alto e tutto diventa sempre
più mimuscolo animato da una smania di dipingere che si
rivela un'esigenza fisiologica, Mantilla trascorre le sue giornate
nell'atelier scrigno/fortezza, dedicandosi unicamente all'arte,
il suo grido, la sua voce; uno scudo per proteggere la purezza
e l'integrità. L'arte è, e deve essere, dedizione
assoluta e Mantilla talvolta, con velata critica, evidenzia e
stigmatizza i limiti di coloro che, al contrario di lui, non hanno
saputo rinunciare per lei ad un lavoro sicuro, ad una donna e
dei figli, ad una stabilità e però si denominano
pittori...
Sulla totale devozione alla pittura, sulla continua ricerca dell'assoluta
verità, sulla sincerità di sentimenti ed emozioni
si impernia tutta l'essenza morale e professionale dell'artista.
Mantilla pone la priorità del disegno, "il padre di
tutte le arti", che poi rielabora nello studio. Egli osserva,
in particolare, la velocità di esecuzione delle opere,
impiega poco tempo per la realizzazione dei suoi quadri, a conferma
della sopracitata smania di dipingere, della necessaria e subitanea
esigenza di riversare sul medium espressivo concetti
e pensieri . Per sbozzare i disegni, egli utilizza soprattutto
i pastelli e i gessetti, su una carta bruna preparata con cementite
e tempera; per i dipinti, generalmente adopera una tela ben stirata,
su cui stende un'accurata preparazione, e quindi usa colori ad
olio per le parti scure della figurazione e colori a tempera per
quelle chiare, in luce il più delle volte dipinge comunque
con tecniche miste, frutto di quella sperimentazione che continua
ad animarlo e lanciargli nuove sfide e alle quali in alcuni casi,
suo malgrado, soccombe.
Katia Giannetto
|
Ritratto
L'atelier
di Mantilla
|
Il
ritratto e la natura morta
È
stato meglio che fossimo soli mentre mi mostrava le piccole tele
con ritratti maschili e nature morte che aveva disposto con cura
in quell'opificio disordinato come tutti gli studi degli artisti,
una scatola magica che prometteva di far venire fuori trame imprevedibili,
brani inediti di una produzione tanto intensa quanto ancora da assemblare
in un discorso stabile. Mi è apparso subito chiaro, guardandomi
intorno, che il pittore che mi consentiva di esaminare e giudicare
i suoi quadri cercando in me conferme all'interno di una verifica
in itinere fondamentale per andare avanti, aveva una produzione
intensa, varia, disuguale, all'apparenza per certi aspetti incoerente,
e che la difficoltà maggiore per chi vi si accostava con
spirito critico era quella di individuare le linee guida che le
avevano ispirate.
L'ho lasciato parlare, volevo conoscerlo e l'unico modo era quello
di farlo parlare di se e lui, complice l'amore per le sue opere,
ha commentato ciascuno di quei ritratti con un linguaggio semplice
ma diretto, chiaro, senza ambiguità, e mentre parlava mi
sono sentita in soggezione perchè ho capito di avere davanti
a me una rara figura d'artista sicuramente non al passo con i tempi,
che vive in simbiosi con la pittura. Un modello desueto, che non
cura né crea un'immagine di se studiata per apparire e rappresentarsi
nel mondo esterno ma piuttosto la rende il più possibile
pura, incontaminata, di una semplicità genuina, modo inconsapevole
per far prevalere sull'artista la sua opera.
Così mi presentava i ritratti maschili essenziali, dai tratti
permeati di un'arcaica ricerca di interiorità espressa nello
sguardo vivo e sfuggente dei personaggi reali, ma con echi remoti,
che svelano lo studio di modelli rinascimentali del ritratto italiano
soprattutto della scuola di Antonello, ogni volto ha una sua identità
ed individualità, esprime con sottili differenze un diverso
stato dell'animo e coinvolge lo spettatore in un dialogo muto, silenzioso
che lascia molto spazio e libertà alle emozioni e all'interpretazione
che ciascuno crea con un proprio commento.
Non c'è arrivato facilmente al volto, al personaggio, all'identità
della figura umana, li ha cercati ed ha faticato per trovarli, è
partito dal sogno, dalla fantasia, dall'irreale per arrivare al
vero, alla realtà, un'ordito che si manifesta nelle tele
magiche che aprono la mostra dove il colore cattura l'attenzione
verso un mondo che è nella mente di Mantilla dove non è
dato di entrare ma dove l'artista vuole far partecipare l'uomo,
che appare prima come un'appendice, poi lentamente si propone ed
infine si impone creando la via per diventare l'unico protagonista
del campo pittorico, la figura centrale e unica che vedremo detta
serie dei ritratti.
Il Mantilla di oggi in questa mostra attinge ai generi pittorici
storicizzati e si inserisce nella loro storia con il suo linguaggio
autentico.
Così come per i ritratti anche le nature morte diventano
un'esercizio in cui l'artista alterna i pieni ai vuoti accosta i
colori ne osserva gli effetti e li ripropone con diverse soluzioni,
crea un percorso che ci consente di seguire andando con la memoria
a modelli che sono nella memoria, da Arcimboldo a Bimbi, da Caravaggio
a Morandi.
...È un momento di pausa, l'esistenza, che intuiamo provvisoria,
di una serenità che gli ha consentito di affrontare sotto
il profilo iconografico temi risolti con soluzioni che indubbiamente
lo hanno momentaneamente appagato.
Giovanna Famà
|
|
|