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Lo
spazio, per me, è la più informe infinita dimensione,
che la percezione umana chiama libertà e coscienza. Lo
strumento qualificato per l'inizio della sua esplorazione è
il metodo della razionalità, adatto a tutti i livelli di
indagine. Se iniziamo un'indagine su noi stessi attraverso l'espressione
non possiamo non tenere presente che noi stessi siamo una particella
infinitesimale dello spazio.
Non c'è per me nessun'espressione apparentemente a sè
stante che prima o poi non debba necessariamente essere messa
a confronto col tutto. Il rovesciamento dell'opinione dell'io
sono, è stato l'inizio del più fantastico, razionale,
doloroso e cinico viaggio senza ritorno attraverso il linguaggio
della conoscenza. Tralasciando questa premessa di opinione comune
e tralasciando le cause che hanno messo a punto tutta una serie
di fattori che mi hanno portato ad accontentarmi del linguaggio
espressivo (via arte visiva) il quale a mio giudizio vale per
ogni uomo, potrei forse allestire anche via arte visiva il viaggio
per cercarmi in mezzo a tutti e a tutto. Il mezzo potrà
essere artigianalmente inadeguato rispetto al pensiero puro (può
accadere lo stesso quando sia verbalizzata la logica di questa
ricerca attraverso la scrittura). Il metro per misurare il mezzo
della ricerca dell'lo è l'estetica, cioè quella
forma che necessariamente dovrà essere strumento adatto
e rispondente a chiarezza e inscindibile dalla costruzione del
contenuto.
La
mia "arte" non è necessaria ai miei simili, mentre
penso necessario sia il concetto del viaggio di ricerca d'identità,
per poter comunicare da una posizione anche piccolissima ma chiara
la mia disponibilità conoscitiva. Non avrei potuto parlare
di "vocazione artistica" con concetti precostituiti
e imbalsamati da quel vizio antico e presuntuoso dell'io al centro
della terra e non nella terra (per non dire nell'universo): il
segno il colore i piani sono stati sempre espressi dagli artisti
di tutte le epoche per puntualizzare la solitudine di fronte al
far "finta di non esserci".
Se dovessi presentarmi con la mia "vocazione artistica"
dovrei necessariamente costruirmi il linguaggio finto per come
sono finte le "vocazioni assolute". Se potessi accorgermi
che il metro per misurare il mezzo d'espressione (estetica) fosse
inadeguato, cercherei di cambiarlo per poter continuare a viaggiare.
Angelo
Maiorana
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Ricordo
di aver visto una volta, da qualche parte, una fotografia di Pirandello
in compagnia di Einstein, in America. Doveva essere l'anno 1923.
Pirandello in doppietto scuro e papillon, il mefistofelice pizzetto,
l'eterna sigaretta tra le dita; Einstein accanto, con la sua massa
di capelli bianchi che s'alzavano sulle tempie ad ali di colomba,
giacchetta striminzita e pantaloni larghi bianchi, scarpe stringate
e con le punte rivolte in su: uno Charlot lunare. Quel Pirandello
che, dunque, con una famosa gaffe culturale, aveva dichiarato di
aver inventato tutto da sè, tutto il suo «relativismo»,
senza conoscere la «relatività» di Einstein.
Ma fu vera gaffe, quella? Che ora noi vogliano ancora caricare disponendo
accando a quei due, a Pirandello e Einstein, altri personaggi, in
un bel gruppo da fotoricordo: Proust e Joyce, Freud e Jung, Bela
Bartok e Stravinskji, Le Corbusier e Wright, Picasso, Klee, Kandinskji...
Una bella compagnia di persone che, in un modo o nell'altro, hanno
saputo trovare un varco ed esplorato nuove dimensioni, rivelato
nuovi e insospettabili mondi. E, dall'incrinatura della certezza
squadrata d'una superficie, del conclamato spazio euclideo d'una
tela, per Kandiskji, come per il più letterato e quindi per
noi più poetico di questi, e ancora per il mediterraneo e
fantastico Mirò, vogliamo giungere al più trasognato
dei nostri viaggiatori dell'ignoto: a Osvaldo Licini e alla sua
stralunata Amalasunta. E per Licini, crediamo - e si sottolinea
crediamo procedento per grandi approssimazioni, per accostamenti
eterodossi, su metri e passi che non sono quelli specifici della
critica d'arte, ma lo sa dio di quali e stravaganti cadenze - che
possiamo in qualche modo «leggere» queste opere di Angelo
Maiorana. Maiorana è uno dei tanti giovani siciliani emigrati
dell'arte, emigrati al nord d'Italia, al nord d'Europa. Per necessità
e per bisogno di vedere e di conoscere. Viene da Santo Stefano Camastra,
dall'argilla, dalla ceramica, dalle decorazioni «astratte»
di lemmi e di cannate. Ricordo, nell'estate del 65, un premio di
pittura bandito dal comune di Santo Stefano dove il sottoscritto,
con Lucio Piccolo e altri, fu chiamato a far parte della giuria.
Fra i concorrenti, c'erano due giovani di Santo Stefano che operavano
al Nord: Angelo Maiorana, appunto e Carlo Cusmà. Mi colpirono
allora, in questi due, la sicurezza e la modernità del linguaggio
pittorico. Erano lemuri, omuncoli, linee e frecce, segni d'un ironico
e sarcastico e irrimediabile inferno in Cusmà. Segni e linguaggio,
mondo, che in altri artisti più accentrati e sostenuti -
vogliono dire d'un Baj o Dova, per esempio - facevano esemplificazione
e storia.
Oggi, a distanza d'anni, il linguaggio e il mondo di Maiorana si
sono ancora più affinati e impreziositi. In queste opere,
le sue esplorazioni verso dimensioni inedite e fantastiche, sono
tese all'acuto più poetico. E in questo viaggio, dove si
procede per decantazione e assottigliamento, unico viatico possibile
è ancora la memoria intrisa di sottili nostalgie. Fra l'intersecarsi
di piani e di cerchi, tra fughe di linee ed angoli, i ritmi cromatici
ben modulati, le campiture-pause di blu, verdi o rossi, danno alla
composizione una lirica armonia che attenua i vibranti e nevosi
movimenti dei segni. Armonia che in più punti si modula,
si spiega in canto in certi abbandoni dove riaffiorano squarci di
paesaggio, di sepolte infantili visioni: sono dune, colli, isole
felici contro bande di cieli azzurrissimi; sono case, torri, castelli
incantati e frananti... Ma, non appena l'autore s'accorge che la
memoria preme ed emerge, si aggruma in figure, rammaricato scrive:
«Tento di unire le figure nello spazio libero ma sempre mi
si ingabbiano nella retorica.. Forse mi conviene abbandonarle definitivamente
così come sono e riacciuffarle in segni». Ma, in quello
spazio libero, figure o segni, legati o ingabbiati, se la memoria
si fa poesia, si fa cioè esplorazione e avventura, niente
può farci il rammarico e il proposito contrario dell'autore.
Vincenzo
Consolo
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...
Il piatto di ceramica non viene mai considerato come spazio o superficie
indifferente da trattare al pari di altri possibili, pur avendo
fondamentalmente un'educazione da pittore: quello e solo quello
è lo spazio delimitato dal suo «desiderio», attratto
in fondo dalla forma «bella» dell'oggetto su cui interviene
poi con le sue «storie disegnate».
È ovvio che nel discorso espressivo, nella cosiddetta «decorazioni»
(che è termine da ceramista e non sta ad indicare il semplice
ornamento), il suo interesse di pittore prende il sopravvento; ma
anche qui le sue esigenze sono piegate a quelle proprie della materia
su cui interviene, cercando di andare oltre la stratificazione dei
vari motivi decorativi della ceramica tradizionale, che rimandavano
sempre ad un simbolo o ad una scena di vita raccontata.
Trovandosi di fronte al problema di immettere un messaggio nuovo
in un linguaggio rigidamente codificato, Maiorana non è intervenuto
in modo violento, trattando il piatto di ceramica come la tela di
un quadro; ha cercato, invece, di aderire quanto più possibile
alla materia stessa, che abbiamo visto in lui si carica di notazioni
e connotazioni sentimentali, elaborando una serie di segni rapidi
e senza ripensamenti, ma senza operare semplificazioni, anzi apportandovi
tutto il suo bagaglio culturale, a cominciare dalla pittura parietale
pompeiana fino agli esempi contemporanei di Bacon o di Licini. Questo
tipo di fugurività, che non è mai piattamente realistica,
gli consente di raccontare dall'interno i suoi sogni e le sue storie,
che sono poi le storie di Santo Stefano, dei tipi per le strade
o sulla spiaggia, le vicende e gli avvenimenti di un mondo visto
con adesione affettiva, dando luogo ogni volta ad un viaggio, che
è «sempre un viaggio senza ritorno attraverso il linguaggio
della conoscenza».
Luciano
Caruso
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E
poi, ancora, prevalente monocromia insieme a delicate e svariate
policromie fino ad un redsiduale acromismo al quale viene.
Affidata la rimandatività semantica, il “rinvio –
a”. Nell'ideale “girotondo” o nella spezzata catena
degli “eventi”, si muovono figure portatrici di perlacee
certezze e di giocose incertezze: corpi nudi "vestiti"
di erotismo che tessono l'eterno arazzo dei sensi ed erotismo “denudato”
che scardina la ragione. I delicati acquerelli stemperano il fuoco
che li imprime nella ceramica senza mai spegnerlo ed il fuoco li
"accende" di significato senza mai inaridirli: questi
gli “Acquerelli col fuoco” di Angelo Maiorana.
Anna
Maria Fratantoni
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Se
Angelo Maiorana avesse potuto disegnare nell'aria o nell'acqua avrebbe
raggiunto la sua vera facoltà espressiva. Avrebbe trasferito
in spazi infiniti i suoi racconti, i suoi ricordi, le sue ispirazioni,
le sue figure, i suoi panorami. Lo si intuisce chiaramente dalla
sua pittura. Una pittura, la sua, che sembra soffiata più
che fatta con le mani: spazi di cieli azzurri o di mari o di terre
in cui vagolano imponderabili forme di figure o di cose sospese
in atmosfere in cui tutto si muove nella immensa immobilità.
Tutto sembra semplice nei suoi quadri, quasi fossero creati così,
senza fatica. Ma vi si sente un intenso lavoro preparatorio come
quello dei ginnasti che pare eseguano i loro esercizi senza il minimo
sforzo.
Per questo, capire la sua arte, non è sempre facile per chi
si soffermasse a considerarne soltanto ciò che di reale vi
appare. Tutti i racconti, i personaggi, le masse geometriche che
ispirano l'artista sono proiettati in aria; diventano magici i loro
corpi, le loro espressioni, i loro gesti realizzati con pochi segni,
pochi colori, con sfumature diafane, spesso graffiati col manico
del pennello quasi a voler sottolinearne un particolare o una nota
acuta.
Eppure le sue opere hanno un fascino che non sempre riusciamo a
spiegare. Ci attraggono senza sapere perché. Parlano senza
dire una parola; si esprimono con forza pur essendo eteree; sembrano
angeliche e son cariche di erotismo; sembrano timide e sono prepotenti.
Tutto ciò è arte pura. Per Maiorana la ceramica non
è un mezzo di decorazione: è un substrato, che l'artista
sa ben m inipolare, per scioglervi le sue composizioni con la stessa
liricità con cui esegue gli acquarelli su carta o gli oli
diluiti sulla tela.
Angelo Maiorana è stato accostato a Klee, a Mirò,
a Licini. Si è cercato di inquadrarlo nella metafisica, nell'astrattismo,
nell'arte concettuale. Niente di tutto questo: Maiorana è
un pittore a sé stante; la sua arte gentile non è
catalogabile in alcuna corrente.
E l'originalità è fondamentale per un autentico artista. |
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Für
Angelo Maiorana ist Keramik ein Substrat, das der Künstler
gut zu beeinflussen weiß, um seine Kompositionen mit demselben
lyrischen Charakter aufzulösen, mit dem er Aquarelle zu Papier
oder verdünntes Öl auf Leinwand bringt. Wieso ein Bild
auf einen großen Keramikteller malen? Maiorana sieht es als
eine Beziehung, in der der Künstler eine eigene Ausdrucksweise
bildet.
Blaue Himmel oder Meere oder Felder, in denen sich Figuren wie schwerelos
bewegen - in seinen Bildern scheint einfach alles mal eben so gemacht,
ganz ohne Anstrengung. Und trotzdem spürt man die Vorbereitungsarbeit.
So wie bei Kunstturnern, deren Übungen aussehen, als würden
sie nicht die geringste Mühe kosten.
Für den, der es dabei beläßt, nur das zu beachten,
was real erscheint, ist es nicht leicht, seine Kunst zu verstehen.
Alle Erzählungen, Personen, Formen, die ihn inspirieren, sind
in der Luft projiziert. Ihre Körper und Expressionen werden
magisch, ihre Gesten mit wenigen Farben und Nuancen verwirklicht,
häufig mit dem Pinsel geritzt, als sollten besondere Details
damit unterstrichen werden. Seine Werke besitzen einen Reiz, der
nicht immer erklärbar ist. Sie wirken anziehend auf uns, ohne
zu wissen warum. Sie sprechen, ohne auch nur ein Wort zu sagen.
Sie erscheinen einem engelhaft und sind mit Eros geladen. Sie scheinen
schüchtern und sind gewalttätig. All das ist pure Kunst.
Maiorana wurde mit Klee, Miro und Licini in Verbindung gebracht.
Man hat versucht, ihn in die Metaphysik und Tendenz des Abstrakten
in der Kunst einzureihen. Nichts von alledem. Er ist ein für
sich stehender Künstler. Seine freundliche Kunst läßt
sich nicht in irgendeinen Strom zwängen. Originalität
ist fundamental für einen authentischen Künstler.
« Der Raum ist die Dimensior informeller Unendlichkeit, welche
die menschliche Wahrnehmung Freiheit oder Bewußtsein nennt.
Das quali fizierte Instrument für einE erste Untersuchung ist
diE Methode der Rationalität, passend für jedes Niveau
Wenn wir mit den Untersu chungen bei uns selbst be ginnen, dürfen
wir nicht ver gessen, daß wir ein unend lich kleines Teilchen
des Weltraumes sind. Es gibt für mich keinen Ausdruck, der
für sich selbst stünde unc nicht notwendigerweise mii
dem Ganzen verglichen wer den könnte. Die Mei. nungsumkehrung
von "Ich bin" war der Anfang der phantastischsten, rationalsten,
schmerzhaftesten und zynischsten Reise ohne Rückkehr.
Meine Kunst ist nicht unbe dingt notwendig für Mei. nesgleichen,
während ich das Konzept der Reise zur Selbsterforschung für
sehr notwendig halte, um den Standpunbkt meiner Er kenntnisbereitschaft
mitzuteilen.
Es wäre mir nicht möglich, von der sogenannten künst
lerischen Berufung mit jener antiken, anmaßenden, ein balsamierten
Gewohnheil des "Ich im Zentrum der Welt" zu reden. Für
mich nehme ich "winzig klein und da für eindeutig und
klar im Universum" in Anspruch. Die Zeichen, Farben, Flächer
von Künstlern aller Epocher haben stets dazu gedient, die Einsamkeit
gegenüber dem 'so Tun als wenn nichts wäre' genauer zu
umreißen. Sollte ich mich mit meiner 'künstlerischen
Berufung darstellen, so müßte ich mir notgedrungen einen
unechten Ausdruck aneignen, bei dem, wie ich glaube, alle 'absoluten
Berufungen' unecht beziehungsweise künstlich sind. Sollte ich
eines Tages bemerken, daß die Art meiner Bewertung des ästhetischen
Ausdrucksmittels ungeeignet ist, würde ich es ändern,
um weiter reisen zu können ».
Umberto
Marianelli |
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