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Ragusa Ibla, 1960
Giuseppe Leone, Ladro di Luce

Esiste fra il fotografo e la succube realtà che lo circonda un rapporto di belligeranza non molto dissimile da quello che contrappone il cacciatore alla preda: così come la mano dell’uno si prolunga nel fucile, l’occhio dell’altro s’incorpora nell’apparecchio e se ne fa arma alla cultura d’un frammento irripetibile di spazio-tempo. Un ladro di luce, dunque, il fotografo: un rapinatore di eventi, che fulmina l’attimo e lo imprigiona in un breve rettangolo di cartone per consegnarlo all’eternità.
Ciò vale per ogni fotografo. Val specialmente per un fotografo siciliano al quale la terra natia offre una dovizia d’immagini quale raramente la storia, la cronaca, l’arte, il paesaggio sciorinano dinnanzi a un obiettivo curioso. Un privilegio che tuttavia da solo non basterebbe, ove non soccorressero la bravura tecnica e l’eccellenza del gusto. Doti che abbondano in Giuseppe Leone, un artista caro a Leonardo Sciascia e autore di molte e pregevoli opere, di cui l’ultima, Sicilia, rappresenta il culmine riassuntivo.
Non si cerchi in queste foto la collera civile o la pietà di chi s’impegna a ritrarre la Sicilia più funebre e amara. In Leone risuona una musica diversa.
Una musica che somiglia al particolare triangolo ionico che l’ha generato, là dove il retaggio mafioso pesa meno che altrove e la stessa barocche ria delle pietre ( a Noto, a Modica, a Ibla…) si stempera nella mestizia e nell’oro morbido dei tramonti. Piace dunque a Leone cogliere le mimiche significanti del grande teatro umano, tanto negli individui quanto nelle folle, durante le cerimonie e le liturgie delle feste: piace altresì indulgere alle forme, ai comportamenti, alla pelle del cielo, della terra e del mare.
Ne risulta una Sicilia Malnota o ignota a noi stessi che l’abitiamo.
Dove si esibiscono altipiani di amplissimo giro che un albero solitario soggioga, dove ondulate colline si spartiscono toppe di campi, cinti di muri a secco e guardati da case simili a sentinelle; dove le bestie più antiche, più elementari (vacche, pecore, buoi) ripetono antiche movenze, ignare di vivere sulle soglie del terzo millennio…
E’ una Sicilia insospettata, che talvolta non sembra quasi mediterranea. Guardate il lago di Pozzillo, se non sembra immerso in un aria di pallido Nord e certe valli da western dove ci si aspetta di sentire da un momento all’altro i sonagli d’una diligenza e il paese di Gangi, metafisico e larvale come campito sui vapori d’una visione… Altre volte castelli incombono da una cima in forma d’immensi macigni, contadini a dorso di mulo vanno da chissà dove, a chissà dove, e paiono statue equestri…
Più spesso è la presenza umana a farci sentire, giochi di bambini, conciliaboli di vecchi, gesti e facce che raccontano una lunghissima favola sacra alla fatalità del dolore. Ce ne viane un turbamento che non si placa, sebbene il bianco e nero di queste carte gareggi con le morsure del più impassibile acquafortista. Pare di visitare un tempo fuori del tempo, donde esula, o quasi, ogni segno di civiltà che non sia agricola o pastorale.

Finché, verso la fine, un’immagine ci smentisce quella dove un gregge malinconicamente pascola all’ombra delle fosche ciminiere dell’Agip di Gela, patetica sfida di un’Arcadia perduta alle cieche divinità del futuro.

Gesualdo Bufalino

 

“Un viaggio lungo mezzo secolo” testo Antonino ButtittaEdizioni Kalós 2008

Le fotografie di Giuseppe Leone ci riportano al vissuto di un uomo coniugatosi nel tempo con gli ambienti e le persone di una Sicilia fatta di lontananze dai confini ulteriori, di uomini dai lunghi silenzi parlati, di lavori e fatiche senza misura: una realtà espressa, come scrisse il Principe, in un paesaggio irredimibile.
Quanto si nasconde in questa realtà si indovina negli scatti di Leone, soprattutto quando esitano in immagini che tracimano il tempo e convertono luoghi e persone in parvenze mitiche. E’ per questa via che residuano nella memoria come memoria esse stesse di un mondo ipotetico del quale Leone è emotivamente partecipe e al quale miracolosamente ci fa partecipare.
La realtà da lui colta e reinventata, la sua Sicilia, diventa così la Sicilia di ognuno di noi.

Antonino Buttitta

“Sicilia Terra Madre” testo Diego Mormorio- Mario PintagroEdizioni Kalós 2007

C’è in queste fotografie di Giuseppe Leone uno spirito primordiale dell’uomo e il senso delle cose ultime. Attraverso di esse ci incamminiamo sulla strada del remoto e dell’intramontabile, nel sentiero del nostro destino di esseri mortali sulla terra, che altro conforto non possono avere che in se stessi: nel loro essere costruttori di case, giardini, templi e di infiniti strumenti, giochi, discipline, scienze. ‘è il senso del mistero e della volontà di conoscere, di procedere verso distanze sempre più lontane, con gli occhi puntati sul cielo – su mondi che sono a milioni di anni luce. […] Davanti a queste immagini, viene subito da credere che sia impossibile pensare il passato e il presente della Sicilia separati dai paesaggi dell’isola o questi ultimi distaccati dagli accadimenti umani. La geografia è inevitabilmente storia…

Diego Mormorio

“Immaginario Barocco” testo S. Nigro – Edizioni Kalós 2006

«Leone si è nutrito di barocco siciliano… Il teatro dell’architettura e il teatro della vita sono il gran teatro dell’arte di Leone. La sua macchina fotografica entra nelle residenze signorili, nei salotti borghesi, nei circoli di conversazione, nelle chiese. Aggrava le ombre, esplora i silenzi che scivolano da bocche annose, spia gesti e pettegolezzi, orgogli e vanità. Divaga tra ripide scalinate. Consacra e dissacra».
Così scrive Salvatore Silvano Nigro presentando questa straordinaria interpretazione del Val di Noto, oggi dichiarato dall’UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

 

“Sicilia, le Anime del Paesaggio” testo Gioacchino L. Tommasi – Leopardi 2001

Le immagini di un territorio trasmettono sempre l’interpretazione del rapporto fra ambiente ed abitanti. Quella della Sicilia si è codificata attraverso i tempi nelle immagini dei viaggiatori. Essi vedevano più il paesaggio della miseria che i fasti del barocco. Così mentre le raccolte d’incisioni del Saint-Non e dello Houel additano villani e straccioni, accanto agli architetti in redingote che misurano i templi di Agrigento, le incisioni del Cicchè riproducono le feste di Palermo con le loro dame e cavalieri. Nei tempi, questa Sicilia dei poveri scivola verso la Sicilia dei malfattori. Il “brigante di Misilmeri” appare quale maschera gentile nella incisione di Cucinelli e Bianchi ma quando nasce la fotografia cominciano ad apparire le verità della miseria, scapolari e uomini bestie, ed il paesaggio si fa partecipe di una vita di asprezze. La fotografia di reportage fa il resto ed abbiamo allora il paese della mafia, e le istantanee dei caduti.
Questa raccolta vorrebbe dar conto di alcuni punti di vista innegabili. La Sicilia ha subito trasformazioni colossali negli ultimi trent’anni e di questi mutamenti anche l’immagine dovrà tener conto. Muli e scapolari son spariti come le tonnare, esistono soltanto per i turisti e per i fotografi. In particolare la Sicilia interna ha cambiato volto: sterminate distese di vigneti a tendone, oliveti, l’agrumeto abbandonato, l’agriturismo emergente; le città assediate dall’edilizia moderna e in periferia da quella abusiva, i cimiteri dell’industria petrolchimica, i polmoni turistici delle riserve e delle isole minori. La Sicilia non è più in bianco e nero ma variegata, ed in questo contesto i morti ammazzati, seppur non scomparsi , non sono più la chiave di un territorio dove sono in essere vistose trasformazioni. Questo album di Giuseppe Leone e la sua chiave di lettura vuole essere una proposta dell’immagine Sicilia del terzo millennio.

“Viaggio nella Sicilia barocca” testo di S. Nigro – Bompiani editore 1995

Giuseppe Leone è nato a Ragusa. E’ un narratore della Sicilia: dei suoi monumenti, delle sue feste; dei costumi e della vita tutta. Per immagini fotografiche. Come da viaggiatore incantato; forse l’ultimo, in giro per l’isola.
Un narratore, che si è accompagnato a Sciascia; a Bufalino e a Consolo. E ha rivelato alla letteratura la Sicilia più vera: quella degli uomini; come quella della pietra vissuta e del paesaggio.

Tra le sue “narrazioni”:
La contea di Modica e Invenzione di una Prefettura, con testi di Sciascia;
L’isola nuda, con testo di Bufalino;
Sicilia Teatro del Mondo, con testo di Consolo.

“Il Barocco in Sicilia” testo di V. Consolo – Bompiani 1991

Ma che cosa è successo dunque nel Val di Noto il giorno dopo quel disastroso terremoto del 1693 perché tutte quelle città venissero immediatamente ricostruite? Ricostruite in quella nuova, ardita forma, in quella superba bellezza? Superba: è la parola. Perché il viceré duca d’Uzeda, il vicario generale duca di Camastra, ei commissari governativi, l’ingegnere militare Carlos de Grunemberg, il feudatario principe di Butera, altri principi, i giurati locali, gli urbanisti frà Michele La Ferla e frà Angelo Italia, gli architetti Vaccarini, Ittar, Vermexio, Palma e Gagliardi, quella infinità di mastri e maestri, di famiglie di scalpellini della contea di Modica a cui lo storico Paolo Nifosì ha saputo dare un nome, le popolazioni che in assemblee, per voto o per ribellioni, decisero i luoghi e i modi delle ricostruzioni, tutti insomma dovettero avere una grande superbia, un grande orgoglio, un alto senso di sé, di sé come individui e di sé come comunità, se subito dopo il terremoto vollero e seppero ricostruire miracolosamente quelle città, con quelle topografie, con quelle architetture barocche: scenografiche, ardite, abbaglianti concretizzazioni di sogni, realizzazioni di fantastiche utopie. Sembrano, nei loro incredibili movimenti, nelle loro aeree, apparenti fragilità, una suprema provocazione, una sfida ad ogni futuro sommovimento della terra, ad ogni ulteriore terremoto; e sembrano insieme, le facciate di quelle chiese, di quei conventi, di quei palazzi pubblici e privati, nei loro movimenti, nel loro ondeggiare e traballare “a guisa di mare”, nel loro gonfiarsi e vibrare come vele al vento, la rappresentazione stessa, la pietrificazione, l’immagine, antropica o scaramantica, del terremoto stesso: la distruzione volta in costruzione, la paura in coraggio, l’oscuro in luce, l’orrore in bellezza, l’irrazionale in fantasia creatrice, l’anarchia incontrollabile della natura nella leibniziana, illuministica anarchia prestabilita. Il caos in logos, infine. Che è sempre il cammino della civiltà e della storia.

“L’Isola Nuda” testo di G. Bufalino – Bompiani 1988

«…Nelle fotografie di Leone non cercate la collera né la pietà né l’avvampo della metafora; bensì, istigato dall’eccellente mestiere, un colpo d’occhio avvezzo a cogliere le mimiche significanti del grande teatro umano, tanto negli individui quanto nelle folle, durante le cerimonie e le liturgie delle feste; ma, specialmente, una devozione attenta alle forme, ai comportamenti, alla pelle del cielo, della terra e del mare. E’ uno, Leone, che alla Sicilia si accosta come a un impervio corpo di donna, e che si giova, per possederla, di tutte le arti che il suo privato Kamasutra oculare e tattile gli suggerisce: ora sfiorandola appena; ora facendole teneramente violenza; ora guardandola con finta pigrizia, come dal balcone d’una stella remota; ora frugandola con le mani febbrili del cercatore di ‘trovature’ Sfogliate questo volume e vedrete.
Vi si propone un viaggio, forse addirittura il romanzo di un viaggio. Con itinerari che di proposito danno poco spago alle famose città, ai luoghi deputati del mito, della storia e del turismo; ma piuttosto inquisiscono il territorio nelle sue pieghe più nascoste, nel suo più geloso privato. Ne risulta una Sicilia mal nota o ignota a noi stessi che l’abitiamo. Dove si esibiscono altipiani di amplissimo giro, che un albero solitario soggioga; dove ondulate colline si spartiscono toppe di campi, cinti da muri a secco e guardati da cipigli di case simili a sentinelle; dove le bestie più antiche, più elementari (vacche, pecore, buoi) ripetono antiche, elementari movenze, ignare di vivere sulle soglie del Duemila…»

Dal testo introduttivo di Gesualdo Bufalino

“La contea di Modica” testo di L. Sciascia – Electa 1983

«La contea di Modica comprende dodici comuni che però nella contea propriamente detta, quella dei Cabrera e della corona spagnola, ebbero vicissitudini di aggregazione e di disgregazione, di espropriazione e di restituzione, di pegno razione e di vendita, per cui forse non c’è stato mai un tempo in cui si trovassero effettualmente riuniti… Gli elementi che li unificavano, sicché ancora oggi si può parlare di una contea o circondario di Modica in accezione di diversità rispetto al resto della Sicilia, sono il dialetto, le colture agricole, l’architettura rurale e urbana, lo spirito associazionistico…»
Questi sono alcuni incisivi passaggi con cui Leonardo Sciascia traccia il profilo materiale e morale, storico e ambientale della contea di Modica.
L’elegante, colta e plastica introduzione del narratore siciliano così dice in un altro passo significativo: «Questo breve discorso sulla contea nasce da qualche viaggio e dalla lettura di alcuni libri: ma ne è occasione questa raccolta, rigorosamente trascelta e ordinata, di fotografie di Giuseppe Leone».
In una dimensione di viaggio determinata dal fatto che a Modica “la condizione siciliana vi è meno drammatica, meno angosciosa”, questo libro documenta la resistenza di qualche “reliquia” della serenità del vivere
. Le fotografie, solo apparentemente documentarie di muri e colture, di architetture rurali e di ruderi passati, di cappelle votive e particolari barocchi (già notati da Anthony Blunt), si fanno nella cornice di Sciascia un parallelo racconto, poiché Giuseppe Leone “riunisce nell’esser fotografo la necessità di vita e l’elezione di natura”.

 


“Matrimonio in Sicilia”
testo di S. Nigro – Sellerio editore 2003


“L’isola dei Siciliani” testo di D. Mormorio – Peliti Associati 1995

Altre Pubblicazioni

“Atlante Ennese” testo S.Nigro-Federico Motta Editore 2008

“La terra dei Fenici” Ed. Regione siciliana Comunità europea 2008

“Un viaggio lungo mezzo secolo” testo Antonino Buttitta-Edizioni Kalós 2008

“La terra dei Fenici” Ed. Regione siciliana Comunità europea 2008

“Atlante Ennese” testo S.Nigro-Federico Motta Editore 2008

“Altri volti” testo Matteo Collura-Nunzio Zago e Diego Mormorio - Fondazione Bufalino 2007

“Immaginario Barocco” testo S. Nigro – Edizioni Kalós 2006

“Ibla” saggi vari – Ed Paolino 2005

“Ricordi di Natale” testo di S. Nigro- G. Garofalo Ed Kalós 2004

“La Sicilia di Camilleri” Edizioni Kalós 2004

“Gli anni di Sciascia e Bufalino” Edizioni Kalós 2003

“ La Sicilia di Andrea Camilleri” Edizioni Kalós 2003

“La Musica degli Iblei” testo M. Collura - Leopardi Ed 2001

“Il Divino e il Meraviglioso” testo di Maria Attanasio- Leopardi Ed 2000

“Il Ragusano” Edizioni Motta 1999

“Feste Riti e Culti in Sicilia” Edizioni Art’è 1996

“Viaggio oltre il barocco nella Sicilia d’Oriente” testo di Michele Rak – Sellerio editore 1990

“Sicilia teatro del mondo” testo di V. Consolo – per la RAI- Ed ERI 1990

“Ragusa Barocca” testo di Gaetano Ganci – Sellerio editore 1982


“Invenzione di una Prefettura”
testo di L. Sciascia – Bompiani 1987

“La pietra vissuta”
testo di R. Assunto – Sellerio editore 1977

 

“Sicilia , grafie di luci e ombra”
testo S. Nigro –Federico Motta Editore 2006