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In
una terra di confine fra arte e educazione
All'inizio
c'era un'utopia: creare liberi spazi dell'educare, scuole fuori dalla
istituzione scuola, ispirate alle pratiche educative della pedagogia
popolare e a quella che Alex Langher chiamava l'utopia concreta della
conversione ecologica. Tutto questo avveniva circa venti anni fa.
Nel Movimento di Cooperazione Educativa questa utopia l'avevamo chiamata
Scuole elementari verdi per grandi e bambini. II gruppo di Messina
che aveva contribuito alla elaborazione del progetto nazionale, immaginava
le sue Scuole verdi come una struttura dove fosse possibile intrecciare
ricerca educativa, ascolto del territorio, produzioni artigianali
ed esperienze artistiche.
E fu proprio nell'ambito del progetto Scuole verdi che fondammo l’Associazione
La ragnatela.
Nel nostro immaginario, la ragnatela rimandava a percorsi di conoscenza
complessi, alla relazione tra l'infinitamente piccolo e l'infinitamente
grande, ad una struttura non data ma da costruire a poco a poco con
pazienza e saggezza…
Per oltre un anno, abbiamo esplorato i luoghi più diversi:
masserie, monasteri basiliani, borghi abbandonati, perfino una polveriera!
Nel frattempo ci siamo interrogati sul senso del nostro progetto e
sulle sue molteplici relazioni con le nostre vite, i nostri desideri,
i nostri limiti. Infine ci siamo fermati. Sulla ricerca del luogo
ideale ha prevalso il desiderio di concretizzare la nostra utopia
e, poiché, come dice un proverbio siciliano, quannu amuri voli
trova locu, abbiamo trovato un luogo, abbiamo scelto di restare in
città e nella città Il Magazzino. Per molto tempo noi
de La ragnatela abbiamo continuato a chiamare la sede operativa dell'associazione
Il Magazzino quasi per conservare la memoria del luogo che tanto tempo
fa, prima della guerra, era stato il magazzino di una ditta esportazione
di agrumi, lo stanzone nel quale gli agrumi venivano imballati per
essere spediti in tutta Europa e Oltreoceano.
La nostra scuola verde iniziava così con la ristrutturazione
dei locali, con gli incontri e i seminari.
Eravamo un gruppo che ancora sapeva poco di sé ma tra noi c'era
una bambina disabile, Francesca, testimone attenta dei nostri tentativi
e nostra compagna di ricerca come tutti i nostri figli.
E' stata la sua presenza a dare una svolta radicale al nostro lavoro.
Nel 1991 abbiamo aperto un laboratorio di espressione grafico pittorica
per persone disabili; l'anno successivo è stata la volta del
laboratorio di espressione musicale Suono e ritmo.
In questi anni i due laboratori hanno percorso una strada molto accidentata
pur mantenendo anche nei momenti più difficili le loro caratteristiche
fondanti: l'attenzione al processo creativo, la cura delle relazioni,
il lavoro cooperativo di gruppo. Nel tempo é emersa la loro
identità più profonda di luoghi appartati ma non separati
dal mondo, di luoghi dell'integrazione e dell'ascolto, del reciproco
adattamento creativo. Si sono rivelati piccole comunità elastiche
capaci di affrontare perturbazioni e cambiamenti nelle quali la diversità
ha indicato nuove modalità e nuovi percorsi di conoscenza e
di scoperta di se stessi e dell'altro. Le pitture, le installazioni,
le performance e i concerti, risultato di ore e ore di lavoro, hanno
assunto uno stile inconfondibile e delineato l'identità de
la ragnatela.
Per noi, ancora oggi, un nodo difficile da sciogliere è la
nostra relazione con l'arte: non è un caso che per anni il
laboratorio che teniamo al mattino si sia chiamato di espressione
creativa e che solo dal 2005 si chiami DArt. Abbiamo scelto questo
nome volutamente ambiguo proprio perché il laboratorio vive
in una terra di confine tra arte ed educazione. DArt si può
leggere come D'Arte ma la D iniziale anche può suggerire la
parola disabilità: Disabilità e Arte.
L'incontro con l'arte è stato ed è tuttora drammatico
nel senso etimologico del termine: fortemente legato alla nostra azione.
Da sempre ci dichiariamo outsider dell'Arte perché siamo fuori
dal sistema e dal mercato dell'Arte ma ciò non vuol dire che
ci sottraiamo alla responsabilità della creazione artistica,
che non ci confrontiamo ogni giorno con le eterne domande che ogni
artista si pone circa il senso delle proprie opere, la loro bellezza,
il loro valore d'uso, il loro destino.
L'arte è il tempo-spazio che ci permette di esprimerci e quindi
di esistere. |
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Negli
anni 2004 - 2005, abbiamo scelto Matisse come pittore tramite a cui
ispirarci per entrare in relazione con il nostro corpo, per esplorare
con occhi nuovi la figura umana rappresentata attraverso linee, forme,
colori…e la nostra stessa immagine, allo specchio, in fotografia.
Siamo partite da alcune considerazioni.
Lo studio della figura è un tema primario di tutto il percorso
artistico di Matisse.
Il
termine “espressione” ha un significato esclusivamente
pittorico. La psicologia è espressa da tutto il corpo, non
solo dai volti.
Le linee sono morbide, nette, strutturali. I contorni carichi di energia
e di movimento.
La semplificazione non è astrazione ma tende piuttosto a ricostruire
la realtà in forme sintetiche.
Le campiture dei colori sono prive di sfumature. Il colore integrale
è utilizzato per strutturare spazi.
Le opere di Matisse, non solo le gouaches decoupees, si prestano ad
essere tagliate, scomposte e ricomposte.
Guardandoci allo specchio imitiamo il Nudo rosa e ci fotografiamo
a vicenda. Ricomponiamo la riproduzione dell’opera e facciamo
alcuni esercizi di percezione. Tutti insieme iniziamo a disegnare
il nostro Nudo rosa
Individuiamo gli elementi principali del dipinto: la figura nuda,
la coperta, il riccio e la castagna… fuori dal limite della
coperta decidiamo di disegnare quello che vogliamo. |
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Ritratti
Il
Laboratorio DArt ha lavorato alla fine del 2005 e nel 2006 intorno
al tema dell’identità personale. Tema spinoso, doloroso
e appassionante un po’ per tutti, a maggior ragione se ad
affrontarlo sono persone disabili.
Il destino di un bambino che nasce con “qualche problema”
è quello di subire nei primi anni di vita interventi di riabilitazione,
normalizzazione, rieducazione, sostegno, recupero, … più
o meno efficaci. Col passare degli anni, con la conclusione dell’esperienza
scolastica, mentre nei familiari si spengono molte illusioni e subentra
il vuoto della rassegnazione, nel cuore, nella mente, nell’intelligenza
della persona disabile, ormai adulta, sotto le ceneri covano ricordi,
desideri, sogni inespressi, forse inesprimibili.
Il progetto educativo de La ragnatela si fonda sulla convinzione
che, se si crea il contesto adatto – un gruppo che ascolta,
un luogo che accoglie, un tempo che attende, strumenti e materiali
che stimolano e facilitano il processo creativo – è
possibile scoprire o riscoprire insieme i caratteri primigeni della
personalità di ciascuno, abile o disabile: la capacità
di astrazione, il senso del colore, la sensibilità nella
scelta e nella trasformazione della materia. E’ possibile
iniziare a chiedersi: “Chi sono? Chi siamo?”
A conclusione di due esperienze molto coinvolgenti: un’attività
finalizzata all’integrazione dei distretti corporei ed una
lettura - rilettura di alcuni ritratti di Matisse tra cui il Nudo
rosa ha iniziato a serpeggiare nel gruppo una forte curiosità
nei confronti di se stessi e la voglia di guardarsi allo specchio,
di essere narcisi e innamorarsi della propria immagine, di osservarsi
a vicenda, toccarsi le orecchie e sentirle morbide, annusarsi “Che
buon profumo che fai!” immaginarsi il colore dei piedi, scoprirsi
belli, simpatici, strani quanto basta per essere affascinanti. Raccontarsi
e dire io con consapevolezza.
Da questo travaglio sono nati i ritratti, e con loro, siamo nati
di nuovo anche noi.
A turno, nell’arco di cinque mesi, per nove volte, abbiamo
rifatto il percorso dai bozzetti individuali all’assemblaggio
finale.
Per prima Federica si è offerta come modella allo sguardo
dei suoi compagni, ciascuno ha fatto un bozzetto e successivamente
abbiamo lavorato tutti insieme al ritratto collettivo.
Abbiamo scelto Baj come guida nel nostro percorso non solo perché
grande maestro di collage e di ritratti poco convenzionali, ma soprattutto
per la sua concezione della pittura come “pratica di libertà”.
Testo
collettivo del Laboratorio DArt dalla presentazione
della mostra Ritratti giocando con Baj
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Percezione
e azione creativa.
L'incontro con Antonello nell’esperienza del Laboratorio
DArt,
La riproduzione dell'Annunciata sul cavalletto, in penombra.
Sul tavolo il riflesso delle foglie e dei rami del giardino, un
gatto ci osserva incuriosito, forse infreddolito… l'Annunciata,
anzi i ritagli di una riproduzione in fotocopia sparsi sul tavolo
attraversano la luce e l'ombra. Giochiamo a scambiarci i pezzi,
a comporli e a scomporli. Torniamo a tratti all'immagine intera…
E' il nostro primo incontro con Antonello. Per dirla con le parole
di Panofsky per il nostro gruppo l'Annunciata è un soggetto
primario e naturale e la prima analisi che ne facciamo si può
definire preiconografica: E' una donna,… è una monaca,…
somiglia a una Madonna,… somiglia ad Angela, gioca con le
mani,… legge a voce alta,… sorride…
A tratti varchiamo la soglia del visibile, ci avventuriamo ad esplorare
oltre: Nella stanza c'è qualcuno, dalla finestra si vede
il mare… Torniamo all'azzurro del manto.
Sulla tela bianca dipingiamo a tempera i nostri azzurri. Poi ritagliamo
dalla lunga striscia il suo manto, lo indossiamo noi stessi, lo
proviamo ed infine lo pieghiamo per lei sul fondo nero. Il lavoro
dei ritratti ispiratoci lo scorso anno dagli assemblaggi di Baj
ci suggerisce di andare alla ricerca dei lineamenti del volto nella
scatola dei bottoni. Proviamo e riproviamo fino a quando ci appare
il suo volto. Cerchiamo tra le nostre composizioni su carta riciclata
il suo libro e nel laboratorio di falegnameria di Piero il suo leggio.
Ho tentato di raccontare per frammenti la genesi del collage "Le
mani". Ognuno di noi è artista a suo modo. Ogni opera
porta dentro di sé nelle forme, nei colori, nei materiali,
le tracce del processo creativo che l'ha generata, la storia, l'origine.
Lavoriamo spesso
ad opere collettive tentando il difficile passaggio dalla confusione
iniziale, dalla molteplicità degli sguardi, dalla varietà
dei percorsi creativi, all'unicità dell'immagine comune.
Dall'immagine torniamo alle parole. Seduti in cerchio ormai lontani
dal tavolo, ripensiamo a quello che abbiamo fatto, il lavoro è
durato giorni o settimane, l'atto conclusivo è la scelta
del titolo che solo raramente viene fuori in corso d'opera; è
avvenuto così per "I diciotto dolori nel corpo"
- li abbiamo dipinti, contandoli ad uno ad uno: piccole coliche,
anonimi tratti, linee contorte, dolori persistenti, forme tormentate,
fitte al cuore, dolori dell'anima, i nostri dolori, nel corpo diafano
dell'Ecce Homo - talvolta il titolo va oltre la rappresentazione
e ne coglie il senso profondo: "E' tutto finito" suggerisce
Michele per l'acquerello - collage ispirato all'Ecce Homo.-; talvolta
evoca un'assenza, ciò che non abbiamo rappresentato: "Le
mani" è il titolo proposto da Giuseppe per la seconda
composizione ispirata dall'Annunciata. I luoghi cari: Messina, i
Monti Peloritani, i boschi, lo Stretto, tornano spesso nei titoli,
i bellissimi sguardi dei personaggi di Antonello ce ne hanno restituito
un'immagine antica e familiare. Può accadere, infine, che
il titolo alluda ad una narrazione collettiva, la "Storia dell'Annunciata"
connette tutti gli elementi rappresentati sulla trasparenza dell'acetato:
"Nella stanza c'è buio, la donna è in piedi sta
leggendo a lume di candela. Il libro è sul leggio. Sul tavolo,
nella clessidra scende la sabbia. Gli uccelli hanno fatto i nidi
dentro il leggio. I tarli mangiano il legno e scavano gallerie.
C'è un formicaio nascosto. Oltre la finestra, fuori la luce
è giallo chiaro, le montagne sono rosse per il tramonto,
il mare dello Stretto è blu scuro.La donna con una mano tiene
il manto, l'altra mano si muove verso il cielo. Entra un uomo è
piccolino, forse viene da una costellazione, forse è un mago,
lei lo riconosce, il cuore batte piano, si abbracciano, avvolti
nel manto blu… lei inizia a cantare, lui l'accompagna, il
tamburo risuona, risuonano i tuoni, si avvicina il temporale".
Isolina
Vanadia da La figura e lo sfondo, Messina 2006
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Nelle
strade fuori dal tempo
Dopo
l’incontro impossibile con Antonello da Messina desideravamo
tornare tra i contemporanei senza abbandonare del tutto il mondo del
Rinascimento che avevamo sfiorato con Antonello. Abbiamo proseguito
quindi la nostra ricerca sulla relazione figura sfondo inoltrandoci
nel teatro immobile di Balthus. Nelle strade fuori dal tempo illuminate
da una luce che sembra provenire dalle cose, nelle stanze spoglie
e sontuose dove tutto è simbolico, tutto è in relazione
con tutto. Dove tutto, aldilà dell’apparente realismo,
appartiene al mondo del sogno. Lo straniamento e la sospensione temporale
in cui sono immersi personaggi, oggetti. luoghi (lo spettatore si
chiede: sono arrivato sulla scena troppo presto o troppo tardi?) ci
hanno suggerito nuove storie e nuove immagini.
La scelta di un grande maestro come artista di riferimento è
pericolosa: se si cade nell’illusione dell’imitazione,
della riproduzione anche solo di un segno, di un colore, i risultati
saranno deludenti, la frustrazione inevitabile. La distanza siderale
che intercorre tra noi e Balthus ci ha tenuto alla larga. quasi sempre
da simili tentazioni e ci ha spinto a cercare strade inusuali per
entrare in relazione con la sua opera.
Se confrontiamo la lettura ingenua dei dipinti effettuata dai componenti
del laboratorio, libera, allenta e carica di emozione con le notizie
storiche, con le esegesi critiche, con il pensiero e le intenzioni
dell’artista, scopriamo coincidenze significative, inaspettate
sintonie: la scelta sofferta di stare ai margini del proprio mondo
e del proprio tempo; I ‘attenzione dell’artista allo sguardo:
in un’intervista Balthus afferma che “bisogna guardare...
i pittori di oggi non sanno più guardare... io cerco di esprimere
il mondo e non me stesso”; la pratica dell’arte come altissimo
artigianato: Balthus parla di mestiere imparato guardando altri pittori
- Bonnard, l)erain - in modo del tutto naturale “Ho imparato
il mestiere come si impara a parlare”; l’elogio della
lentezza: le opere di Balthus sono il frutto di un lavoro lungo, quanto
mai accurato, quasi maniacale. Infine il tentativo
- sublime in Balthus - non tanto di rappresentare la natura, quanto
di identificarsi con essa.
Nelle composizioni del laboratorio DArt è possibile rintracciare
sottili legami, misteriose corrispondenze con i tre dipinti di Balthus:
la maglia azzurra del personaggio chiave del Passage si trasforma
in una strada azzurra che attraversa tutta la juta e mette in relazione
la scena in cui si muovono i personaggi con il cielo rosso, un tramonto
inesistente nel dipinto di Balthus; la baguette sembra un flauto,
il flauto torna ad essere una canna; il gatto allo specchio riappare
in una, tante maschere; il libro della ragazza che interrompe la lettura
per giocare col gatto si sfoglia in decine di pagine dipinte; la luce
lattiginosa del drappo dei pesci rossi, diventa un’onda gialla
che vince il fondo nero..
Isolina
Vanadia dalla presentazione della mostra Viaggio nel teatro
immobile di Balthus, Messina 2008
Per
un comprendere interpretativo
Non è
cosa da poco comprendere e nemmeno interpretare.
Chi interpreta deve, non solo leggere e a lungo studiare per penetrare
gli aspetti più profondi e le numerose sfaccettature del
testo, ma deve anche superare tutte le confusioni che provengono
dal proprio sentire.
Solo così e mettendo a tacere la sua pre-conoscenza. il suo
pre-giudizio per non condizionarne la lettura, poco per volta, riesce
a fare emergere il significato dalla cosa stessa.
E questo il modo dell’interpretare nel quale Heidegger individua
una possibilità positiva del conoscere più originario.
E’ questa la metodologia adottata dagli artisti del laboratorio
DArt.
Essi riservano all’autore prescelto grande attenzione e un
particolare ri-guardo per approfondirne gli aspetti tecnico-concettuali
che per gradi individuano; questa sintonia. così guadagnata.
genera il confronto attraverso il quale le singole personalità
non si annullano ma si potenziano in autonome espressioni artistiche
che trovano posto in una serie di opere collettive di notevole e
inedita pregnanza.
Giuseppina
Radice dalla presentazione della mostra Viaggio nel teatro
immobile di Balthus, Messina 2008
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La
Trilogia del bosco
La
Trilogia del bosco è un mediometraggio prodotto da La ragnatela
onlus e Il Cantiere dell’InCanto a conclusione di un progetto
realizzato dalle due associazioni fra il 2003 e il 2004.
E’ una narrazione per musica e immagini delle trasformazioni
del bosco di Camaro, una foresta vicino alla città di Messina
ed è diviso in tre parti: L’autunno, l’inverno,
la primavera.
Sceneggiatura, riprese, produzione grafico pittorica, immagini e
musica non sono state pensate e create prima per essere poi utilizzate
nel montaggio. Hanno preso forma in funzione l’una dell’altra,
all’interno del lavoro di improvvisazione creativa del laboratorio
da cui il film è nato, provocate dal bosco. L’ipotesi
di fondo era quella di intrecciare i punti di vista di chi guardava
e ascoltava il passare delle stagioni, il mutare dei colori e dei
suoni sia nel bosco, sia nelle rappresentazioni pittoriche e musicali
che ne davano i giovani portatori di handicap con i quali il film
è stato realizzato.
Il linguaggio cinematografico è in grado, infatti, di mostrare
il processo, i movimenti, le trasformazioni e di restituirne il
valore e la ricchezza.
Tutti coloro che, con compiti e competenze diverse, hanno partecipato
alla realizzazione del progetto, hanno potuto lavorare senza sceneggiatura
e copione preconfezionati perché hanno accettato la contaminazione
degli sguardi e delle interpretazioni individuali e lo scambio delle
modalità espressive come prassi metodologica.
La naturale conseguenza è che il mediometraggio è
frutto di un’ottica dentro quello che accade, non su quello
che accade. Un’ottica etica circolare che ha consentito a
portatori di handicap, educatori, registi e musicisti di offrire
davvero l’uno all’altro il contributo del loro sguardo
e del loro ascolto.
La Trilogia del bosco è dunque la narrazione di percezioni
e non di visioni delle azioni.
Giovanna La Maestra dalla presentazione de La trilogia
del bosco
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Il
mediometraggio è nato da un’idea di Giovanna La Maestra.
Ne hanno curato la regia Santi Minasi in collaborazione con Marco
Fornarola. Ne hanno realizzato le riprese Santi Minasi Marco Fornarola
Emanuele Cosio; l’editing Emanuele Cosio Santi Minasi, il
montaggio Francesco Milizia e Santi Minasi.
Le Immagini pittoriche e i testi sono di Federica De Tommaso Gabriella
Di Leo Giuseppe Gentile Silvio La Fauci Francesca Licata Michele
Rizzo (Laboratorio Forme e colori del bosco d’autunno, inverno,
primavera - Associazione Il Cantiere dell’InCanto)
Il Coordinamento educativo è di Francesca Billé e
Alessandra Licata con la collaborazione di Aurora Arena e Vanni
Jeni
Le musiche sono di Federica De Tommaso Gabriella Di Leo Patrizia
Flecchia Giuseppe Gentile Silvio La Fauci Giovanna La Maestra Francesca
Licata Valerio Ristagno Michele Rizzo Angelo Tripodo (Laboratorio
Suono & Ritmo - Associazione La Ragnatela) Paolo Fresu e Alessandra
Giura Longo (Associazione Il Cantiere dell’InCanto)
Il coordinamento musicale è Angelo Tripodo
Il Backstage è stato realizzato da Francesca Billé
e Alessandra Licata con la collaborazione tecnica di Carmelo Vieni
L’editing digitale e il missaggio di Autunno e Inverno sono
stati curati da Giovanni Renzo; l’editing digitale e il missaggio
di Primavera da Gianni Menicucci (Tájrà edizioni e
produzioni)
Pierpaolo Cimino ha seguito tutte le fasi del montaggio definitivo
delle musiche.
La consulenza artistica è di Isolina Vanadia, la consulenza
per la produzione di Domenica Polito (Associazione la Ragnatela)
Il funzionario del Comune di Messina, Letterio De Leo, con la sua
costante e affettuosa accoglienza nella foresta di Camaro anche
nei giorni festivi, ha reso possibile la realizzazione del Progetto.
Altre
immagini e l’intero DVD sono visibili sul sito www.cantiereincanto.it
Chi volesse acquistare una copia de La trilogia del bosco può
scrivere a ilcantiereincanto@libero.it
o la-ragnatela@tiscali.it
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Il
bosco: parole e immagini |
L’aria, l’acqua e il sole
L’aria,
l’acqua e il sole.
L’aria e il movimento.
Il segno nero che danza
è la luce.
L’aria e l’acqua
corrono insieme
e vanno fra i rami
e le foglie
i suoni.
, |
Entriamo
nel bosco
Entriamo
nel bosco
di corsa
di corsa
di corsa
di corsa.
Piano.
Di giorno
si vede.
Con lo sguardo
a piedi nudi
guardiamo
le montagne
i rami
i rami
le nuvole
nell’aria
i rami nel cielo
le pietre bianche
colorate da Silvio.
Nel bosco vorrei portare
le foglie con le bacche rosse
il ramo con le foglie
verdi, e le bacche
il vischio
il vischio
le maracas.
Io vorrei portare
voi
nel bosco
nei rami,
quelli che sono qua,
le scatole non dipinte
per riempirle.
Portiamo il blu
il bianco
il viola
il verde
la montagna di luce
le foglie pazze.
Di giorno
il riflesso del bosco
la coda dell’uccello.
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L’acqua
e il sole
L’acqua
girava e ballava
sulle foglie
e suonava come un’armonica.
Veniva dal sole, dall’acqua
e andava nel bosco col fuoco.
Era blu notte.
Prende la luna
e la porta
nelle nuvole.
Il vento soffia dentro l’acqua
che scorre
e la spinge
ad andare fra gli alberi.
L’albero
delle nuvole
Nel
bosco a Camaro.
Qua, a Camaro
a Camaro
è con le radici a terra
e i rami nell’aria.
No, i suoni
suoni nell’aria
che volano nel cielo.
E’altissimo
alto.
Gli uccelli che volano
cantano di giorno e di notte.
Sull’albero, nel nido
cantano.
Il nido sui rami
con le uova.
Le uova si aprono
viene fuori un pulcino
e vola
sulle nuvole.
L’estate
d’inverno
L’estate
d’inverno
nel bosco
coi suoni
del vento
e dell’acqua.
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Ci
sono due fiumi
Ci
sono due fiumi.
Un fiume
azzurro chiaro
uno azzurro scuro.
Stanno in mezzo al fuoco,
al fuoco rosso
che brucia i rami.
L’acqua di Michele
giallo chiaro
ha coperto
la strada azzurra
che andava nella foresta.
La luce
nella foresta
era azzurra.
L’acqua
gialla cade
L’acqua
gialla cade.
Il vento giallo chiaro cade.
Acqua marrone e terra
vanno a mare e fanno
il suono dei tamburi.
Il mare è verde
e si muove
come una mano
che fa le onde.
L’acqua
si muove forte
e fa le onde.
e il suono del gong.
L’acqua marina
è un suono:
è il rototom.
Canta
i pesci rossi
con gli occhi verdi.
I pesci sono piccoli piccoli
e stanno tutti insieme
sotto, sotto.
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La
Trilogia del bosco
Non so nemmeno se esiste un confine tra il piacere di fare qualcosa
per sé, per gli altri, per favore, ed il piacere di fare cose
per soldi, per potere, per piacere, perché no.
Comunque, nel caso esista questo sottile confine non sono in grado
di riconoscerlo e, per giunta, ho perso la bussola.
Perciò, da qualunque parte fossi in quel momento, possiamo
dire che stavo al posto giusto: tra una flautista anticiclonica kalaritana
ed un gruppo di visionari messinesi, stretti tra vulcano e ponte,
larghi di vedute e cuore.
Viva il Suono e viva il Ritmo.
Gianni Menicucci (Tájrà
edizioni e produzioni)
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UN DVD “RACCONTA”
LA FORESTA DI CAMARO
Due associazioni messinesi alla scoperta della natura La
‹‹Trilogia del bosco››.
«Giacché vi sono radici che affondano oltre il quotidiano,
il linguaggio poetico e l’uso rituale del ritmo ci mostrano
quegli aspetti della vita che non sono visibili in superficie».
Così scrive Peter Brook, uno dei più geniali maestri
del teatro contemporaneo, consegnandoci in maniera insospettata
una delle possibili chiavi di lettura, fra le più illuminanti,
di un’originale esperienza educativa lontana dagli schemi
convenzionali. A viverla «La ragnatela» e «Il
Cantiere dell’InCanto, ovvero due associazioni messinesi dalle
rare affinità elettive, poste in un territorio di confine
fra dinamiche educative e produzione culturale, handicap e integrazione
sociale, linguaggi d’arte e comunicazione. Condivisa fino
in fondo l’originale ipotesi progettuale, quella di «attraversare,
esplorare il bosco, promuovendo la pratica dell’osservazione,
dell’ascolto, per viverlo come “luogo” di incontro
e di scambio fra portatori di handicap e artisti, rimettendo in
gioco la codificazione dei linguaggi», l’azione educativa
trova nella foresta vecchia di Camaro la sua scena principale.
Sottratto miracolosamente all’impietoso saccheggio del territorio
urbano, e per fortuna sconosciuto ai più, questo bosco incantato,
oltre a conservare un patrimonio arboreo e di essenze vegetali di
inestimabile valore, si disvela come luogo dall’intensa carica
simbolica, dove sperimentare un ritorno alle fonti della comunicazione
fra natura e cultura.
«Lì, molti anni fa, per la prima volta — scrive
Giovanna La Maestra - mentre arrancavamo con il piccolo gruppo del
Laboratorio Suono e Ritmo, con ampio corredo di tamburi e campanelli,
il vento, gli alberi, il ruscello, il canto degli uccelli, l’irregolarità
dei passi, l’asimmetria di relazioni che sfuggivano al controllo
del senso abituale, ci spinse al dl là dei codici in un’area
ignota in cui tutto si combina per paradossi e la diversità
dl ciascuno pretende la cura di un linguaggio nuovo per tutti».
E «Trilogia del bosco, autunno, inverno primavera» —
questo il titolo del progetto educativo e del cortometraggio in
Dvd cui si affida il racconto per immagini e suoni — nasce
proprio da questa prima full immersion in un lembo di natura peloritana
incontaminata. «La foresta — annota ancora La Maestra
— non cantava le note del pentagramma, il suo tempo e il suo
ritmo seguivano un’organizzazione perennemente nascente, la
danza di alberi, foglie, forme, rami ci spinse a guardare e ascoltare,
a cercare non l’unisono, ma la musica dei rapporti nell’improvvisazione
creativa». E così, musicisti, portatori di handicap,
antropologi visuali, educatori si ritrovano nel bosco per perdere
volentieri le presunte certezze del quotidiano e scoprire nuove
modalità di comunicazione e di rappresentazione fra il sé
e gli altri, contaminando gli sguardi e le reciproche sensibilità,
rifondando i rapporti tra natura e arte.
Il bosco, osservato nelle sue mutazioni stagionali nell’infinita
gamma di colori e forme, e la percezione del paesaggio sonoro che
lo avvolge, costituiscono dunque la materia su cui si modella questa
singolare esperienza educativa. Lo sguardo selettivo dell’occhio
digitale della fotocamera e della videocamera ne traccia per immagini
un diario denso di emozioni e suggestioni, che prende forma esemplare
in Dvd, grazie a Santi Minasi e Marco Fornarola, antropologi visuali,
che si sono valsi della collaborazione di Emanuele Cosio e Francesco
Milizia, che ne ha curato il montaggio. La prima del lavoro filmato
con commento musicale live, in occasione de «Il bosco in concerto»,
ossia una performance en-plein-air nell’avvolgente foresta
di Camaro, con largo seguito di pubblico particolarmente motivato,
alla scoperta di sorgenti sonore invisibili, affidate all’estro
creativo di Alessandra Giura Longo (flauti), Dante Bernardi (cornamusa),
e Paolo Fresu (tromba), il solo a uscire con il suo strumento dalla
fitta vegetazione peloritana. Ma spendiamo ancora qualche riflessione
sull’originale produzione multimediale. In un gioco di rispecchiamenti
fra visione e rappresentazione, fra osservato e osservante, fra
forme naturali e creative reinterpretazioni, il cortometraggio di
Minasi e Fornarola ha, tra gli altri meriti, quello di aver vissuto
dal di dentro questa singolare esperienza educativa. E lo sguardo
dei due giovani e promettenti antropologi visuali oscilla tra il
«fuori» e il «dentro», ovvero tra l’incomparabile
scenario naturale della foresta di Camaro, un ecosistema che diventa
teatro di nuove forme di comunicazione e interazione.
Rinunciando alle tentazioni decorative o descrittive, le forme musicali,
aderenti «ideologicamente» alle immagini, si configurano
come segni espressivi caratterizzanti di un progetto curato da Giovanna
La Maestra e Angelo Tripodo ed elaborato dal Laboratorio Suono e
Ritmo, che prende forma in una poliritmica partitura per percussioni
e voce, impreziosita dalle invenzioni d’autore di Paolo Fresu
(tromba elettronica) e di Alessandra Giura Longo (flauti).
Ancora in tema di collaborazione per la realizzazione del Dvd, davvero
apprezzabile da tutti i punti di vista, da annotare quella di Francesca
Billè e Alessandra Licata per il backstage e le immagini
pittoriche del bosco, di Giovanni Renzo e Gianni Menicucci, per
l’editing digitale e il missaggio, di Pierpaolo Cimino, per
il montaggio delle musiche e della grafica e, ancora, di Carmelo
Vieni, per la collaborazione tecnica al backstage e di Letterio
De Leo, «nume tutelare» della foresta di Camaro e pienamente
partecipe del progetto con «costante e affettuosa accoglienza».
Mario
Sarica, Gazzetta del Sud, 16 luglio 2004
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