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L'autore | La figura | L'opera

 


Beniamino Joppolo coc Gino Severini a Collalbo, estate 1942

 

 

 

 

 

 

 

 



Parigi 1959

 

La sopraffazione attiva del linguaggio

"Facciamo, disegnando un tracciato topografico, un breve viaggio nel regno di una migliore conoscenza. Superato il punto fermo, si ha la prima azione motoria (la linea). Dopo un po, alt per riprendere fato (linea spezzata ovvero, se ci fermiamo più volte, linea articolata). Occhiata all'indietro, per vedere quanta strada abbiamo fatto (contromovimento). Si riflette sulla via da prendere (fascio di linee). Un fiume vorrebbe ostacolarci il cammino, e noi ci serviamo d'una barca (movimento ondulatorio); più a monte avremmo trovato un ponte (arcate). Al di là del fiume troviamo uno che come noi vuole raggiungere il luogo d'una miglior conoscenza. Dapprima siamo uniti dalla gioia (convergenza), ma un po' alla volta si manifestano divergenze (due linee ad andamento autonomo). D'ambedue le parti, una certa eccitazione (espressione, dinamica e psiche dalla linea).
Attraversiamo un campo arato (superficie attraversata da linea), poi un fitto bosco. L'altro si sperde, cerca, e descrive perfino il classico tracciato del cane in corsa. Del tutto calmo non sono neppure io: sopra un nuovo corso d'acqua, grava un banco di nebbia (elemento spaziale), che però dopo un po'si dirada. Dei canestrai tornano a casa sul loro carro (la ruota): con loro, un bimbo riccioluto (movimento a spirale). Più tardi, l'aria si fa afosa e scende la notte (elemento spaziale). All'orizzonte un lampo (linea a zig-zag), ma sul nostro capo ancora qualche stella (una seminata di punti). Ben presto siamo alla nostra prima tappa, ma prima di addormentarci, parecchie cose riappariranno sotto forma di ricordi, ché un viaggetto del genere lascia molte impressioni. Le linee più varie; macchie, puntini, superfici uniformi, superfici variolate e striate; movimento ondulatorio, movimento frenato e articolato; contromovimento, intreccio e trama; muri e squame; monodia e polifonia; linea che si perde e si rafforza (dinamica). La serena uniformità del primo tratto, poi gli ostacoli - i nervi! Il tremito rattenuto, la carenza di augurali venticelli. Prima del temporale, l'assalto dei tafani! L'ira, la strage. Le buone cose, filo conduttore anche nel folto, anche nel buio, il lampo che richiama quel diagramma della febbre. Un bambino malato... un tempo... ".
Il secondo paragrafo della Confessione creatrice di Paul Klee rivela quasi profeticamente la pratica dell'arte di Beniamino Joppolo che richiede non soltanto strategie da fermo, ma implica tutto il campo dell'immaginario, attraversato da una doppia pulsione che non rispetta alto e basso, che privilegia contemporaneamente il movimento della disseminazione e quello della concentrazione. Le mani e la testa, tutta l'anatomia dell'artista partecipano al momento della creazione, una deriva fantastica che non conosce argini e nello stesso tempo accetta di inscriversi in una cifra stilistica tutta intessuta nella coscienza e nella perizia del linguaggio.
L'arte è una pratica dello straripamento e della sua misura, che supera sistematicamente i confini e il limite di guardia, oltre cui riesce a produrre un sistema di impossibilità, un progetto di disattenzione che nasce da un'attitudine dell'artista, preda di un movimento di sconcerto organizzato dentro le linee rigorose di un'immagine calibrata e nello stesso tempo automatica.
Progetto e casualità creativa si intrecciano simultaneamente nell'opera pittorica e grafica di Joppolo, portato a bilanciare con la complessità dell'arte l'insufficienza di una realtà schematica e riduttiva. L'arte procura stordimento e nello stesso tempo conoscenza, una perdita di senso e anche un suo accrescimento, tramite il disorientamento di una pratica che, per definizione, tende a ribaltare la comunica zione sociale, posta normalmente sotto il segno dello scambio unilaterale ed economico.
Una diversa economia regge il sistema dell'immagine di Joppolo alimentata da una strutturale ambiguità che aggira la superbia logocentrica del linguaggio comune, per approdare nel luogo di intrecciate relazioni, in cui i segni si dispongono lungo accordi e fughe istantanei. Se incontrollabile è l'impulso che sale lungo la schiena dell'artista, controllabile è invece la perizia manuale necessaria a rendere lampante ed esplicita la forza dell'immagine. Il linguaggio è una riserva da cui attingere a piene mani, senza altre riserve se non quelle che internamente il linguaggio stesso preserva e protegge. Non è possibile lottare contro di esse, anzi l'artista organizza un progettato abbandono che nasce da una disciplina interiore, capace, come dichiara egli stesso, di duplicare il mondo perché "l'arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile". Joppolo si abbandona ai flussi dell'immaginario in una posizione obliqua di fronte al linguaggio, di perdita cosciente, adatta ad accogliere lo spostamento nomade dei suoi segni.
Joppolo conosce molto bene la natura del linguaggio e non ha mai tentato di domarla, semmai di assecondarla secondo procedimenti che implicano l'idea di progetto e di scelta. Il risultato invece viene lasciato ai suoi esiti liberi, fuori da qualsiasi attesa o preveggenza. Non è infatti l'artista ad essere preveggente, ma il linguaggio che cova dentro di sé immagini e risultati inusitati. Joppolo conosce la tecnica della sopraffazione attiva del linguaggio che si basa sullo stordimento dei procedimenti creativi, l'abbassamento automatico delle tecniche compositive.
Se l'inconscio e il caso sono valori che arricchiscono l'opera e le restituiscono quel carattere di complessità necessaria per racchiudere il senso della realtà, allora egli ha sviluppato una strategia adatta a comprendere dentro il manufatto artistico le istanze incontrollate espresse da quei due valori, attraverso l'assunzione di una disciplina interiore, vicina alla filosofica capacità dì introspezione della cultura orientale.
Lo stordimento diventa una conquista, mediante l'acquisizione di una manualità elementare e automatica che passa attraverso un paradossale controllo tecnico che mette l'opera pera sotto il segno di una involontaria bellezza. L'involontarietà consiste nella capacità di abbandono, nella tensione di sentimentale indifferenza che assiste l'artista e gli permette di non anticipare alcun risultato ma di rimettersi alla condensazione del linguaggio. Un avvertito abbandono è la giusta posizione di partenza per l'artista. Una costante dell'opera di Joppolo è la pratica superficialista del linguaggio. Lo spazio non possiede o descrive profondità alcuna, si dà come supporto bidimensionale che non conosce sprofondamenti o inabissamenti. Questi semmai sono il portato di una condizione psicologica e fantastica che precede il lavoro dell'arte, movimenti che asse:ondano la messa in opera dell'immagine, la quale, per prodursi, utilizza l'economia di un linguaggio lampante e scor-evole. I segni si dispongono secondo una naturale disseminazione che non perde mai la tensione verso il deside-io espressivo. Ma espressione non significa ricalco naturaistico delle oscurità della psiche e nemmeno descrizione di un luogo unitario del significato, bensì istintiva disposi!ione dei segni secondo una frammentarietà condensata e ntensa, il sistema di disposizione del linguaggio è quello della costellazione, di un centro di irradiazione che non :onosce gerarchia o punti gravitazionali, non conosce peri'eria, semmai trova nella disposizione a raggiera la possibiità di coniugare l'immagine figurativa e astratta. finche il colore entra nel gioco della composizione ad ncrementare l'intensità di un'opera che nasce anche da fina consapevolezza culturale. joppolo sa che il linguaggio )ossiede una sua biologia interna, una sedimentazione di )rientamento che permette disposizioni molteplici. Una ntensa energia interna si irradia dall'opera, costruita secondo reticoli filiformi che ne dispongono la potenziali.à lungo rotte aperte a molti incroci e collisioni. `Nella trattoria di mio zio, l'uomo più corpulento della
svizzera, c'erano tavoli con piani di marmo levigato, la cui uperficie era, per vetustà, un intrico di solchi. In questo labiinto di linee si potevano vedere grottesche figure umane e ìssarle con una matita. lo mi accanivo, documentando il mio usto per il bizzarro."
questo ricordo riportato nei Diari di Paul Klee sembra .ncora una volta aprire ad una lettura lampante dell'opera ;raffica e pittorica di Beniamino Joppolo, il quale ha sempre viluppato linguaggi letterari e visivi, tutti portatori di una nvolontaria bellezza, confinante con l'eccentrico, provocaa dall'osservazione continua e minuziosa della realtà, sorvegliata come in un microscopio allucinato e allucinante.
Catalogo della mostra personale - Patti 2003-2004


Achille Bonito Oliva

 

 


Con Sergio Signori e il pittore Cesetti. 1957

 

 

 

 

 

 



Ioppolo all'inaugurazione di una mostra del pittore "nucleare" Gianni Bertini. Parigi 1956

 

Joppolo: il corpo come segno, come scrittura

[…] Quando Joppolo, tre anni prima di trasferirsi a Parigi nel 1954 (dove vivrà fino alla morte, avvenuta il 2 ottobre 1963, in tempo per assistere alla ripresa cinematografica di Jean Luc Godard del suo lavoro più noto I carabinieri), cioè prima di conoscere il successo sulle piazze teatrali di diversi paesi europei, nel saggio sull'Abumanesimo scrive: « Debbo trovare la forza morale di dire quello che realmente penso a proposito di crisi e di decadenza da parte del pubblico di oggi nei confronti dell'arte in tutte le sue manifestazioni: ... Non potrebbe darsi che il pubblico oggi aneli ad essere espresso, più che da opere, da individui complessi che le opere considerino solo come mezzo per dare una visione totale dei problemi dell'uomo nei confronti di vita, cosmo, universo, aldilà, infinito? Forse il cosidetto pubblico è aldilà degli artisti e reclama individui che incarnino l'antico motto - la filosofia è la madre di tutte le scienze e di tutte le arti - il che comporta un disinteresse nei confronti di chi si muove entro l'ambito ristretto dell'arte o della scienza. Un nuovo umanesimo? No. Piuttosto l'abumanesimo », si pensa subito alla grande costruzione delle Acque, i cui personaggi hanno l'aspirazione a « rientrare nella luce cosmica », in un'atmosfera da ricreazione del mondo e insieme da apocalisse.
Il saggio, pubblicato nel 1951, s'incrocia con la problematica del tempo neorealista, l'idea dell'uomo copernicano, il mito dello uomo totale, ma vuole sistemare, rinsaldare e portare avanti antiche concezioni dell'autore. Perciò, i suoi concetti spaziali e cosmologici, il suo interrogarsi sulle questioni centrali del vivere, il suo concedere il primato alla filosofia, subito si scoprono nei nuclei ideativi dei Carabinieri o delle Acque, eppure si ritrovano nelle prime opere. L'idea della transitorietà della morte contenuta in Sulla collina, per esempio, rinvia immediatamente al finale del primo atto delle Acque, dove ancora una volta si configura, e meglio per un di più d'ironia, l'invenzione rigeneratrice, il grande ritorno come natura.
« Voci di Nonni, Nonne, Uomini Padri e Donne Madri:
Con forza vogliamo - sempre vogliamo - più che mai vogliamo - io ho il mio bambino stretto al cuore - io ho la mia bambina serrata al petto - per l'eternità - sono protetti - ben protetti me glio protetti non potrebbero trapassare - mio figlio diventerà una quercia - mio figlio un castagno diventerà - mia nuora si trasformerà in un cipresso - alto - gentile - affusolato - la terra vedrà il mio nipote più grande trasformato in un abete - come roseto mia figlia sboccerà - un roseto sarà - con spine delicate e dolci - gentili anche le sue spine saranno - un mughetto sarà il mio nipotino più piccolo - un giardino fiorito tutti i bambini e tutte le bambine - profumato - intenso - una serra di fiori le spose - fragola - mirtillo - lampone - ciclamino - gelsomino - gelsomino - e canteranno - danzeranno - danzeranno - danzeranno. »
Anche se, naturalmente, nell'opera di Joppolo possono con facilità profilarsi, in sintonia con aspetti della ricerca contemporanea, interferenze di ascendenza surrealistica, l'itinerario delle strutture conoscitive e delle diverse invenzioni (dei « mezzi » totalizzanti) di lui si attua all'insegna dell'espressionismo. E se per l'espressionismo di Federico De Roberto mi è capitato d'evocare l'arte incisoria, per sofferte morsure, di Munch, per joppolo è sintomatico che venga alla mente Emil Nolde, col suo pittorico visionarismo naturalistico prima, il suo grottesco poi, che certamente hanno un rapporto colla grande funzione che il siciliano affida al colorismo libero e sghembo. (E qui, giacchè si è detto già del suo spazialismo e del suo rapporto con Fontana, appare assai pertinente accennare almeno al movimento europeo Cobra, pure determinante tra la fine del decennio Quaranta e i primi del successivo, con le ascendenze espressionistiche di molti suoi protagonisti. Riguardando peraltro Corneille o Jorn vien fatto comunque di accostarli a Joppolo, per il comune espressionismo informale.)
Nella sua prosa, nel suo teatro e nella sua pittura, infatti, risulta scompaginata la struttura tradizionale. Parole, gesti e segni partecipano dell'allucinazione unitaria dell'atmosfera joppoliana; nei suoi spazi, teatrali, narrativi, pittorici, i segni che in generale e diversamente egli vi apporta e inscrive, sono proiezioni dell'interiorità, anche se questa possiede una sorta di fisiologica materialità.
In conclusione, è necessario tuttavia denotare geograficamente, e connotare dal punto di vista della storia socio-culturale, la' multiforme produzione di Joppolo come espressionismo mediterraneo.
La formazione ideologica, le fondazioni conoscitive dell'intellettuale isolano sradicato a fatica e mai completamente, del borghese semiaristocratico e nichilista, nel quale agiscono rivalse contro i' la sua stessa classe, e che però vive il suo momento più politicizzato nella generica ed eterogenea temperie antifascista del venten nio tra le due guerre, sono, come ho mostrato altrove, formazione e fondazioni contraddittorie tra materialismo marxistico ed esoterismo. Una « continua meraviglia delle cose e delle persone », che egli faceva provenire dai presocratici siciliani, insieme ad una accanita istanza epistemologica di nominare le cose, nella vicina memoria di Aniante, di Rosso di San Secondo e di Vittorini, si collegano alla rinominazione antropologica prototipica inerente alla simbologia ctonia riproposta appunto negli anni Trenta.
In tale contesto, l'espressionismo mediterraneo di Joppolo è poggiato però, per quel che riguarda la peculiarità della sua struttura, sull'incontro tra una cosmogonia che sta attenta ai fenomeni naturali e alle modificazioni di essi, e un materialismo marxistico che vigila sulle formazioni sociali e tenta promuoverne la trasformazione.
[…] La tessitura in filigrana delle insorgenze della sensibilità, il pronunciamento tra epico e grottesco dell'inconscio collettivo, spiegano l'esitazione di un quasi delirio nominalistico per costruire un organismo che sia « dei sensi e dell'idea ».
Per questo l'intiera scrittura di joppolo nella diversità dei suoi statuti, dei suoi codici espressivi, che egli si infinge di misconoscere come tali, definendoli nelle pagine critiche « un mezzo qualunque per esprimere una propria fede religiosa e filosofica nel destino dell'uomo », ha un'unica fondazione visionaria e misterica di profondo interiore e trascendente naturalismo. Per cui, come pittore, può lasciare detto: « Mi piacerebbe intuire gli spazi figurativi, con forma colore volume e peso, che si trovano tra Marte e Saturno ».
È una profezia poetica che si presenta pure come tensione conoscitiva ad una figurazione sempre nuova, non praticata prima, e sempre reale.
da Beniamino Joppolo tra segno e scrittura (1946-1954) - Sellerio 1984

Natale Tedesco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Parigi 1959



Beniamino Joppolo pittore

[...] Dobbiamo a Joppolo un testo pubblicato su «Corrente» (15 febbraio, 1940) che chiarisce la necessità di una simile operazione di distacco, senza rivolte, ma anche senza pentimenti. Scrive Joppolo: «I casi sono due: o si è ingenui oppure ci si immerge in una esperienza e la si esaurisce sino in fondo, sino all'esasperazione, per arrivare, tornare a una propria ingenuità più ricca e sperimentata. Ma quando la decisione dinnanzi alle due vie vien presa senza forza eccessiva, e soprattutto senza abbandoni, quando cioè si è perduto l'istinto e d'altra parte non si sono rese istinto l'intelligenza e la cultura esaurite, ma si è rimasti in un fatto di intellettualismo, allora la questione non può essere risolta che su un piano di eclettismo, quel deleterio eclettismo che per volere conciliare tutti i termini e per voler risolvere tutto, partorisce fatti incolori che non risolvono niente e non conciliano niente.»
Il rifiuto dell'eclettismo, la ricerca di un istinto nella pittura che non contraddica i moti dell'intelligenza e che nello stesso tempo non si lasci imprigionare dentro un esercizio di stile, è chiave utile per comprendere i percorsi di molti giovani artisti italiani negli anni Quaranta. A me pare importante segnare questo luogo della riflessione sull'arte di Joppolo perché contiene anche, in qualche modo, un annuncio della poetica alla quale Joppolo stesso, pittore dal 1948, si terrà sempre fedele: il processo di conoscenza del mondo, se spinto a una intensificazione poetica, non può non portare a un recupero di una primarietà delle immagini, o ingenuità, a un loro darsi, in una misura irreversibile, come forme dense e sature.
A riguardare oggi le pitture di Joppolo si resta sorpresi della loro attualità e vitalità, quasi che il tempo lavorasse non a cancellarne o a distanziarne le sinuose e agre figure ma ne svelasse lentamente il senso. Joppolo non temè mai, come scrittore e come pittore, di essere 'eccessivo', di percorrere vie non frequentate. Quelle vie che alla fine degli anni Quaranta tentò in un percorso solitario, guardato con curiosità e più spesso con sospetto, oggi ci appaiono itinerari originali e fruttuosi.
C'è infatti in Joppolo un fare appello a una sensibilità diretta e acuta del mondo che coinvolge memoria e immaginazione, dentro figure essenziali nelle quali la cultura moderna è oltrepassata più che contraddetta, e che è più esplicitamente legata alla nostra esperienza attuale del mondo delle immagini, dopo gli sconfinamenti e le radicalizzazioni sperimentali degli ultimi vent'anni.
[…] Joppolo non poteva puntare a una pittura 'graziosa', non a una pittura aulica e neppure a una pittura che fosse teatro tragico della realtà. Gli importava, io credo, raggiungere nella pittura una diretta significanza dei moti dell'immaginare attraverso figure metamorfiche sospese tra realtà e irrealtà, tutte date nel colore, nel segno continuo e traboccante. La pittura di Joppolo ha una origine che l'artista stesso ha ben chiarito (si veda in proposito l'autopresentazione della mostra alla Galleria del Cavallino di Venezia del 1951): dipingere significava per lui raggiungere regioni e tensioni precluse a una scrittura letteraria pure mobile e sapiente.
[…] Il primo manifesto spazialista firmato da Joppolo con Fontana, Kaisserlian e Milena Milani nel 1947 recita: «Siamo convinti che, dopo questo fatto, nulla verrà distrutto del passato, né mezzi, né fini, siamo convinti che si continuerà a dipingere e a scolpire anche attraverso le materie del passato, ma siamo altrettanto convinti che queste materie dopo questo fatto, saranno affrontate e guardate con altre mani e altri occhi e saranno pervase di sensibilità più affinata.»
Joppolo che inizia la sua attività di pittore in questo periodo si attiene a questa indicazione. L'immagine pittorica che egli propone, utilizza le tecniche tradizionali; la sensibilità a cui fa appello è una sensibilità affinata e diversa. Joppolo, come è noto, firmò tutti i manifesti dello spazialismo pubblicati tra il 1947 e il 1952 (ad eccezione del Manifesto tecnico firmato dal solo Fontana), ma più che alla elaborazione di una immagine legata alla nuova realtà tecnologica del mondo - preoccupazione molto viva negli spazialisti - egli puntò alla individuazione del gesto creativo capace di stabilire un nuovo confine temporale dell'opera.
Velocità del gesto, temporalità immediata e non riduttiva sono elementi che mettono in concordanza l'opera di Joppolo con quella degli artisti dell'immediato dopoguerra che gravitano nell'orbita di Lucio Fontana e della galleria del Naviglio; ma, va ribadito, la posizione di Joppolo ha una particolare originalità nella definizione di singolari organismi plastici. Se infatti il registro cromatico in parecchie delle prime opere sente le influenze degli accesi cromatismi di alcuni pittori di «Corrente» (Cassinari e Birolli, ad esempio) lo sviluppo composítivo, il senso di queste pitture non ha vincoli né dipendenze, pronto come è a sottoporre ogni dato di rappresentazione all'urgenza fantastica, alla veloce crescita temporale del segno.
Filtrata in una lucida distanza critica, attenta alle determinazioni di una pittura di forti tensioni cromatiche e di libere espansioni plastiche, l'opera di Joppolo può muoversi in un gioco di rappresentazioni assai libere, vicina alla fluidità astratta, ma con una forte concentrazione su simboli primari scoperti prima che nella definizione di una icona nella determinazione istintiva del gesto. Ecco che la campitura ellittica è struttura e emblema di un modo di concepire, e rappresentare, lo spazio come orizzonte curvo e continuo, in una corsiva velocità del segno.
Senza riflettere sul mutato atteggiamento che lo spazialismo propone nei confronti del campo di rappresentazione, è difficile recuperare il senso dell'opera di Joppolo, il suo operare verso il tempo (di generazione dell'immagine e di identificazione), verso il dominio di un libero campo fantastico reso pulsante dall'immediata apparizione di immagini aperte.
Una seconda riflessione, anche questa non secondaria per una ricostruzione delle determinanti poetiche che stanno alla base dell'opera pittorica di Joppolo, va portata alla concezione dell'Abumanesimo, teorizzata dallo stesso artista seguendo le indicazioni di Jacques Audiberti e formulata in due saggi del 1950 e del 1951
(L'arte da Poussin all'Abumanesimo e L'Abumanesimo). In questa prospettiva «un ritorno all'umanesimo è un sogno impossibile e utopico ritardatore e nocivo ». L'umanesimo ha posto delle limitazioni canoniche, l'abumanesimo è per il divenire, contro ogni limitazione. È in corrispondenza di questa concezione che l'arte è espressione del divenire del mondo, universale ed eterna, ma continuamente confrontata nel tempo, e l'artista «si accorge, intuisce, percepisce la caducità di ogni apparente modo di mostrarsi del creato, dall'uomo alla natura, dal pensiero al sentimento. Egli avverte che un volto, una nuvola, un albero, un pezzo di cielo variano minuto per minuto, si deformano continuamente, sono diversi attimo per attimo. La sua realtà diventa la legge della continua trasformazione da cogliere nei particolari, mettendo nell'opera d'arte un lavorio interno sotterraneo che continui a deformarla, trasformarla ricrearla oltre l'ultima pennellata e l'ultimo colpo di pollice sicché chi la guarda la possa continuamente ricreare all'infinito».
Un punto fondamentale nella teoria abumanista è l'identificazione della «catena mirabile», una costante dello sviluppo del linguaggio dell'arte figurativa moderna dall'impressionismo all'astrattismo: «È nostra convinzione che di suprema validità di un fenomeno artistico si possa parlare solo quando si verifica la coincidenza di due fatti: la assoluta partecipazione alla vita sociale, politica, culturale del proprio tempo e la capacità pienamente posseduta di immettere nell'opera d'arte in sede di assimilazione, sangue ovvio istintivo sottinteso, il passato, in sede di coscienza tutto l'umano problema del proprio tempo, in sede di intuizione tutti gli sviluppi che l'arte potrà avere nel futuro.» […]
da Beniamino Joppolo tra segno e scrittura (1946-1954) - Sellerio 1984

Vittorio Fagone