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L'autore | La figura | L'opera


Con Leonardo Sciascia, 1982


A scorrere le raccolte di canti e proverbi siciliani, sembra incredibile che il mare, per un'isola che ha 1.039 chilometri di coste, sia un elemento quasi ignorato o tenacemente rimosso, fatta eccezione per i paragoni alla bellezza femminile (quando è sereno, quando fa specchio), alle passioni (quando è agitato); e per la visione di quando vi veleggiano i vascelli che portano grano alle città affamate; alle città del granaio d'Italia. Per il resto, il mare è amaro, chi ha roba sul mare ha niente, chi può andare per terra non vada per mare, costa piú il nolo che la mercanzia, chi naviga per mare solo pericoli può raccontare; e cosí via. Qualche avvertimento o prescrizione: mare grande pesci piccoli, chi pesca in fondo piglia pesci grossi, canna storta pesci porta; e una sola lode: il mare è ricco.
Questa avversione al mare, terragna, contadina è forse una delle principali ragioni per cui la Sicilia è come è. Il mare è ricco ma chi può deve starne lontano. E anche i paesi e le città che di necessità sono nati sul mare, súbito tentano di voltargli le spalle e di allontanarsene. La storia urbanistica di Palermo è in effetti la storia di una fuga, frenetica e confusa, dal mare. E di tanti altri centri. Soltanto Agrigento, che ha alle spalle cretosi strapiombi è andata orrendamente verso il mare: ma sempre creando, tra sé e il mare, una successione di sipari.
Maurilio Catalano, che pure è nato e vive allo Sperone, una contrada marina di Palermo, non deroga da questo sentire popolaresco. Nella sua dimestichezza col mare, anche da pescatore, e appassionato per giunta, c'è un fondo di terrore. Il suo mare è popolato di enormi balene (bianche, ma incidentalmente: nessun riferimento a quella di Melville) che inghiottono pescherecci e navi di linea, di polipi mostruosi, di foreste di coralli sensibili e voraci come piante carnivore. Vi avviene anche l'eterno e proverbiale dramma del pesce piccolo mangiato dal grande; ma è cosa di poco conto, a confronto del vivamaria che succede a bordo di una nave quando un polipo la incatena o i coralli se l'abbracciano o una balena se la crocchia come biscotto.
Il «Viva Maria» che si leva dai naviganti che stanno per finire, come Pinocchio nel ventre della balena, è un vivamaria: non cioè il grido della devozione, l'apice di una festa, ma il massimo della confusione, il punto in cui il mondo si rovescia. Non per lo scampato pericolo, la morte sfiorata, il miracolo, la salvezza del corpo e dell'anima, ma invece il nome di Maria si leva in lode e gloria perché il pericolo incombe, la morte è inevitabile, impossibile la salvezza; e insomma il miracolo appunto consiste nel perire. E morirono felici e contenti, o felici e contenti impazzirono: come in ogni fiaba che si rispetti e anche in questa, che sotto sotto è forse una fiaba ecologica, che Maurilio Catalano ci racconta parodiando mezzi, modi e moduli dell'arte popolare: della pittura su vetro, degli ex-voto, delle figurazioni tra mistiche e superstiziose. Tutto è trascrizione ironica, e consapevolmente ironica, a volte diretta, a volte rovesciata, della cultura popolare di grado infimo: e ne vien fuori un curioso repertorio di songes drolatiques, tanto riflesso e introverso quanto all'apparenza è immediato, vivido, allegro.
Palermo 13 aprile 1972


Leonardo Sciascia



Uccelli, acquaforte

La favola popolare con i suoi miti ancestrali, che ritorna. E ritorna sulla scia di una iterazione segnica che dal ruolo del "cantastorie" passa al fotogramma, in un alternarsi di motivazioni epico-formali che costituiscono il tessuto connettivo di tutto il discorso dell'artista. Un modo di sfuggire alla tragicità del quotidiano per la tangente dei simboli, delle allusioni, della alfabetizzazione del racconto, portato a struttura primaria. Il "popolaresco colto" può essere, al limite, la condizione frenante del linguaggio di Catalano. Il ricorso, cioè, troppo serrato alle componenti metalinguistiche, suggerite, poi, con la compiacenza dell'ampiezza decorativa della vicenda.
Un modo di fare storia, anche; questo sí. Il legame all'afflato fabulativo teso alla leggibilità in assoluto. Il rischio è la doppia interpretabilità d'estrazione pop, con motivazioni completamente opposte all'ideologia pop.
«Voce Repubblicana», 3 giugno 1972

Vito Apuleo



Con Alfonso Gatto, 1974

Come in una araldica della memoria, Maurilio espone i simboli della grande famiglia immaginativa in cui s'avvicendano pesci e velieri, battelli, cuori, stelle, cotillons di carnevale, in una parata marina che è dentro il colore, ipotesi e fragore di evento, getto continuo di continua germinazione.
Direi che la vitalità erompente è, nel timbro della bella fantasiosa pittura di Catalano, virtú certa e genuina, tale che la provocazione emotiva e visiva da cogliere súbito continua a muovere in noi la sua vibratile meraviglia, in oscillazioni sempre piú lente, verso la quiete finale in cui la pagina litografica viene a comporsi illesa, nel sigillo, nel registro, dei suoi estremi esiti.
Tutto è stato detto, pronunciato, e la forza dell'empito è rimasta come trattenuta in una desinenza delicata che è l'ultima grazia venuta a raccogliere l'incartamento.
Altre componenti letterarie culturali e poetiche agiscono nella scrittura e nel colore di Catalano. Non si scopre nulla indicandoli in una compiaciuta rarefazione di gusto visivo, nell'indulgenza per i simboli già di per sé significanti. Ma questo, non che togliere valore e naturalezza all'ispirazione, le assicura un meditato ripensamento, un tempo di elaborazione che è la stessa storia in travaglio del pittore, sorpreso dal proprio impero e tuttavia allenato a riceverlo.
Mi pare che siamo oltre gli indizi di una natura felice, per riconoscere a Maurilio le prove, le testimonianze, i fatti del suo essere pittore. Un viaggio nella felicità visiva e visionaria e nel singolare dizionario della pronuncia pittorica, nel racconto lungo, e ancora nell'intensa illuminazione nel segno e nel timbro del colore, è un viaggio che rischia o può rischiare l'immobilità: tra gli incanti e i pericoli della storia e del passato (le terre e i mari indicati dalle carte) e gli incanti e i pericoli delle terre vergini da incontrare e da scoprire (che sono in noi e nella nostra ansia di avvistarle). Ma il navigatore Maurilio, anni pochi, coraggio molto, col suo barocco marino ha da innalzare un tempio al pensiero di una bella giornata, a quel filo di brezza che gli indicherà sempre, a lume di naso e di baffo, il favore del vento. Direi che Catalano è pittore di respiro, di fiuto. Sa dove pescare. Legge sotto le acque i brividi dei grandi universi pittorici, da Braque a Mirò. Glieli indichiamo quali nomi di augurio. Di Braque, ancora, gli ricordiamo questo pensiero eracliteo: «Nous n'aurons jamais de repos. Le présent est perpétuel». Sí, il presente è perpetuo.
Roma, gennaio 1973

Alfonso Gatto



Incontro n.3, acquaforte

Fermati o bloccati, come in una archeologica tavoletta votiva, l'evento miracoloso, la paura o lo stupore dei pescatori riacquistano per forza d'ironia l'autenticità soggettiva dell'amplificazione verbale dei protagonisti popolari.
La prova del nove della consapevolezza di questo intervento che demistifica la realtà, si effettua quando il rapporto tra questa e la fantasia si muta rovesciandosi, e allora non è il quotidiano che si eterna, ma il mito che in panni dimessi diventa familiare. È il caso di quando l'isola mediterranea ridimensiona con certe sue misure arcaiche il futuro che è già cominciato, quando il paese meridionale guarda alla luna avveniristica degli astronauti.
Il giuoco di Catalano si bilancia bene quando è esattamente eguale il peso del patetico al contrappeso dell'ironia: ma in questa stupefacente dimora siciliana l'angosciato presente si vive tragicamente in bilico tra passato e futuro.
Aprile 1988

Natale Tedesco



Cuore trafitto , acquaforte

Vi è però anche qualche ragione psicologica di fondo, che è data dallo spirito di rivolta contro una immobilità ancestrale, dal senso di liberazione dagli schemi convenzionali del sentire e dello stesso vivere, dal richiamo di un'esperienza nuova e piú aperta: giacché la Sicilia è ancora quella che s'intravvede nei quadri di Catalano, una terra assediata dal mare, una grande zattera d'un naufragio storico, facile preda dei mostri del potere, sempre in attesa d'un prodiglio per la sua rinascita ma popolata di ex-voto a rovescio per le sue delusioni.
Settembre 1988

Vittorio Frosini



Con Giancarlo Menotti e Angela Catalano, 1993

Maurilio Catalano ha in una delle sue vene piú nascoste un'indicibile dose di malinconia che (anche invecchiando) lo avvicina sempre di piú all'essenza stessa della realtà. Secondo le grandi filosofie orientali (quella buddista in particolare) l'essere è indivisibile. Quindi anche la morte è indivisibile. Si ripete. Sempre. Come i suoi quadri. La consunzione inizia nel momento stesso in cui l'immagine è creata, vestita, impupata e, eclatante di pennacchi colorati, chiusa in un suo spazio (e quindi tempo).
Maurilio Catalano è pescatore che sugli scogli attende, alla fine della canna, la vittima, sapendo che la sua conquista coincide con la fine del pesce. Dipinge sapendo che finito il quadro, lo consegnerà alla memoria altrui allontanandolo da se stesso. Il canto che ne ha accompagnato la sua creazione sarà da quel momento lamento e litanìa: preghiere vicino al letto di morte.
Le barche di Maurilio Catalano sono senza pescatori. Da esse pendono fiocine, mai agitate da mani. L'invisibile Caronte traghetta le anime delle vittime verso il tempo sospeso ed eterno. E con esse quanto resta dai nostri sogni.
E se Maurilio Catalano, sotto la sua crosta, fosse un vero mistico?
Lussemburgo, maggio 1993

Luigi Mormino



Il funerale, acquaforte

Fra i pochi, autentici artisti che rifiutano l'antica scissione fra arte e vita, Maurilio Catalano predilige rappresentare, in pittura, gli oggetti, le tecniche, gli ambienti che piú appagano la sua natura profonda. I suoi colori squillanti, smaltati, rivelano una ricognizione non archeologica del mondo numinoso del Medioevo, dove non la luce, ma lo splendore, è l'unico sensibile medium in grado di donarci l'epifania degli esseri e degli eventi. Una cosmologia complessa, che trova la sua radice primordiale, popola poi il mondo d'antiche presenze marine, e d'alberi e d'isole, e di barche colte quasi nell'attimo stillante del primo giorno della creazione.
Un segno grafico, fortissimo e musicale nel contempo, rivela in Maurilio Catalano un virtuosismo della line e della plasticità dei corpi che ha pochi, raffinati emuli nel nostro mondo contemporaneo. La sua anima esuberante, non paga soltanto delle forme auliche dei quadri e delle grafiche, si proietta infine nello spazio con una serie di ridenti installazioni che si atteggiano come scatole cassapanche paraventi, capaci di rinnovare gli ambienti e di donare un senso di circolarità al destino dell'uomo e dell'intera natura.
Palermo, maggio 1994

Aurelio Pes