|
Poeti venturi
Poeti venturi! Oratori, cantori, musicisti venturi!
Non l'oggi può giustificarmi e chiarire chi sono,
ma voi, nuova stirpe americana, atletica, continentale, la più
grande mai conosciuta,
destatevi! Spetta a voi giustificarmi.
Io scriverò solo una o due parole per indicare il futuro,
non potrò avanzare che per un attimo, per poi voltarmi e
tornare in fretta nel buio.
Io sono un vagabondo che non si ferma mai, che lascia cadere su
voi, per caso,
uno sguardo e subito volge la faccia,
lasciandovi il compito di analizzarlo e definirlo,
aspettando da voi le cose più importanti.
Poeti estinti, filosofi, preti
Poeti estinti, filosofi, preti,
martiri, artisti, inventori, governi d'un tempo,
forgiatori di lingue su altre rive,
nazioni un tempo potenti e ora indebolite, contratte o desolate,
io non oso procedere finché non v'abbia rispettosamente dato
credito
di quanto avete lasciato sparso quaggiù,
io l'ho esaminato, riconosco che è ammirevole, (essendovi
passato in mezzo,)
penso che mai nulla potrà essere più grande, nulla
potrà mai meritare più di quanto
esso meriti,
mentre lo contemplo con attenzione, a lungo, e poi lo congedo,
io sto al mio posto coi miei giorni qui.
Qui terre femminili e maschie,
qui eredi e ereditiere del mondo, qui la fiamma della materia,
qui la spiritualità mediatrice, apertamente riconosciuta,
sempre protesa, il risultato delle forme visibili,
colei che soddisfa ed ora avanza dopo la debita attesa,
sì, ecco avanzare la mia signora, l'anima.
O Capitano! Mio Capitano!
O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato,
la nave ha superato ogni ostacolo, l'ambìto premio è
conquistato,
vicino è il porto, odo le campane, tutto il popolo esulta,
occhi seguono l'invitto scafo, la nave arcigna e intrepida;
ma o cuore! Cuore! Cuore!
O gocce rosse di sangue,
là sul ponte dove giace il Capitano,
caduto, gelido, morto.
O Capitano! Mio Capitano! Risorgi, odi le campane;
risorgo - per te è issata la bandiera - per te squillano
le trombe,
per te fiori e ghirlande ornate di nastri - per te le coste affollate,
te invoca la massa ondeggiante, a te volgono i volti ansiosi;
ecco Capitano! O amato padre!
Questo braccio sotto il tuo capo!
E' solo un sogno che sul ponte
sei caduto, gelido, morto.
Non risponde il mio Capitano, le sue labbra sono pallide e immobili,
non sente il padre il mio braccio, non ha più energia né
volontà,
la nave è all'ancora sana e salva, il suo viaggio concluso,
finito,
la nave vittoriosa è tornata dal viaggio tremendo, la meta
è raggiunta;
esultate coste, suonate campane!
Mentre io con funebre passo
Percorro il ponte dove giace il mio Capitano,
caduto, gelido, morto.
Canto il se stesso
Canto il se stesso, la semplice singola persona,
tuttavia pronuncio la parola Democratico, la parola In-Massa.
L'organismo da capo a piedi io canto,
ne' la fisionomia ne' il cervello sono degni da soli della Musa,
io dico che la forma completa è di gran lunga più
degna,
e la Femmina canto come il Maschio.
Canto la vita immensa nella sua passione, impulso e forza,
felice per le azioni più libere sotto le leggi divine,
canto l'Uomo Moderno.
Ai paesi stranieri
Ho sentito che chiedete qualcosa che
vi provi questo enigma,
il Nuovo Mondo.
Che definisca l'America e la sua atletica Democrazia,
Perciò vi mando i miei poemi
perché troviate in essi qaunto vi occorre.
Quando lessi il libro
Quando lessi il libro, la famosa biografia,
E’ questa (mi dissi) che l’autore chiama vita d’un
uomo?
Così qualcuno scriverà la mia vita, quando io sarà
morto?
(Come se un altro potesse veramente conoscerne qualcosa,
Se perfino io penso spesso che ne so poco o niente,
Qualche cenno, qualche sparso debole indizio, segnali indiretti
Che per mio uso esclusivo cerco qui di tracciare).
In viaggio per gli Stati
In viaggio per gli Stati partiamo
(traverso il mondo, spinti da questi canti
facendo vela da qui per ogni terra,
per ogni mare) noi che
vogliamo essere allievi di tutti,
maestri di tutti, e di tutti amanti.
Abbiamo visto le stagioni
che si profondono e passano,
e abbiamo detto,
Perché un uomo o una donna
non dovrebbero fare come le stagioni,
spargersi come loro?
Ci fermiamo un poco in ogni città
grande o piccola,
passiamo attraverso il Canada, il Nord Est,
la vasta valle del Mississippi e gli Stati del Sud,
ci consultiamo su eguali termini con ogni Stato,
mettiamo alla prova noi stessi
e invitiamo uomini e donne ad ascoltare,
diciamo a noi stessi,
Ricorda, non temere, sii candido,
promulga il corpo e l'anima,
sosta un poco e procedi,
sii copioso, temperato, casto, magnetico,
e ciò che tu hai sparso possa allora
tornare come le stagioni ritornano,
e possa essere proprio come le stagioni.
Il canto di me stesso (XXIV)
Walt Whitman, un cosmo, di Manhattan il figlio,
turbolento, carnale, sensuale, che mangia, che beve e procrea,
Non un sentimentale, non uno che si sente superiore agli uomini
e alle donne o se ne sta lontano da loro,
Non più modesto che immodesto.
Svitate dalle porte tutte le serrature !
Togliete le porte stesse dai loro stipiti!
Chiunque degradi un altro degrada me,
E qualunque cosa è fatta o detta ritorna su di me, alla fine.
Attraverso di me l'ispirazione che ondeggia sempre più, attraverso
di me la corrente e l'indice.
Io pronuncio la primordiale parola d'ordine, vi offroil contrassegno
della democrazia, Per Dio! Io non accetterò niente di cui
tutti non possano avere negli stessi termini. Attraverso di me molte
voci a lungo mute,
Voci di interminabili generazioni di prigionieri e di schiavi, v
Voci di malati, di disperati, di ladri, di nani,
Voci dei cicli di preparazione e accrescimento,
E dei fili che uniscono le stelle, gli uteri e il seme paterno,
E dei diritti di quelli che altri sottomettono,
Dei deformi, dei rozzi, dei depressi, degli sciocchi, dei disprezzati,
Nebbia nell'aria, scarafaggi che rotolano i loro grumi di sterco.
Attraverso di me le voci proibite,
voci di sessi e lussurie, voci velate cui rimuovo il velo,
voci indecenti che io rendo chiare e trasfiguro.
Io non premo le mie dita sulla mia bocca,
Tratto con delicatezza le viscere come la testa e il cuore,
il coito non è per me più indecente della morte.
Credo nella carne e nei suoi appetiti,
vedere, udire, sentire sono miracoli, ed ogni parte, ogni lembo
di me è un miracolo. Divino io sono, dentro e fuori, e santifico
tutto ciò che tocco o da cui sono toccato, l'odore di queste
ascelle è un aroma più dolce che le preghiere, questa
testa è più che chiese, bibbie e tutti i credi.
Se io venero una cosa più che un'altra sarà l'estensione
del mio corpo, o ciascuna parte di esso,
traslucida forma di me, sarai tu!
Ombrose prominenze e supporti, sarete voi!
Saldo vomere del maschio, sarai tu!
Qualunque cosa accresca il mio valore sarai tu!
Tu mio ricco sangue! la tua lattea corrente, pallida mungitura della
mia vita!
Petto che si preme contro gli altri petti, sarai tu!
Mio cervello, saranno le tue occulte circonvoluzioni! Radici dei
teneri giunchi! pavido beccaccino! nido di uova doppie e protette,
sarete voi!
Scompigliato fieno misto di testa, barba, muscoli, sarai tu!
Stillante linfa di acero, fibra di grano virile, sarai tu!
Sole così generoso, sarai tu!
Vapori che illuminate il mio volto e lo coprite d'ombra, sarete
voi!
Voi dolci ruscelli e rugiade, sarete voi!
Venti i cui genitali con tenera eccitazione mi sfiorano, sarete
voi!
Distesi muscolosi campi, rami di quercia vivente, amoroso fannullone
sui miei sinuosi sentieri, sarete voi!
Mani che ho stretto, volti che ho baciato, ogni mortale con cui
sono venuto in contatto, sarete voi!
Sono pazzo di me, ci sono un mucchio di cose in me e tutte voluttuose,
ogni momento e qualunque cosa accada mi fa trasalire di gioia,
non so dire come le mie caviglie si pieghino, né da dove
derivino i miei minimi desideri, né la ragione della amicizia
che emano, né quella delia amicizia che ricevo.
Che salgo alla mia veranda, mi fermo a considerare se ciò
accade davvero,
una campanula rampicante alla mia finestra mi soddisfa più
che la metafisica dei libri. Contemplare l'alba!
La piccola luce fa svanire le immense diafane ombre,
l'aria ha un buon sapore al mio palato.
Sollevamenti di un mondo che si muove con innocenti capriole
che sorgono silenziosamente trasudando con freschezza,
guizzando obliquamente in alto e in basso.
Qualcosa che non posso vedere spinge in alto punte libidinose,
mari di succo splendente inondano i cieli.
La terra accanto al cielo con cui stava, il quotidiano finire della
loro unione,
la sfida lanciata da oriente in quell'istante sul mio capo,
il sarcasmo che irride, Vedi dunque se sarai tu il padrone!
Il canto di me stesso (LII)
Il falco maculato mi saetta accanto, mi accusa,
riprende le mie chiacchiere e il mio indugio.
Neanch'io sono stato domato, sono anch'io intraducibile,
Scaglio il mio grido barbarico sopra i tetti del mondo.
L'ultimo rapido raggio del giorno si attarda per me,
Proietta la mia immagine dietro le altre, come qualsiasi altra esatta
sui deserti d'ombre,
E mi attrae nella bruma e nel crepuscolo.
Mi allontano come l'aria, scuoto i miei bianchi riccioli al sole
che fugge,
Effondo la mia carne dentro, vortici, la trascino dentro brecce
frastagliate.
Mi abbandono ai rifiuti della terra per crescere con l'erba che
amo,
Se ancora mi vuoi, cercami sotto la suola delle scarpe.
Difficilmente comprenderai chi sono o che cosa significo,
Ma non di meno sarò per te la salute,
E filtrerò e rafforzerò il tuo sangue.
Se non riuscirai a trovarmi subito, non perdere coraggio,
Se non mi trovi in un luogo cercami in un altro,
In qualche luogo mi son fermato ad attenderti.
|