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Ma sei proprio duro di comprendonio!
Insomma, andavo male a scuola. Ogni sera della mia infanzia tornavo
a casa perseguitato dalla scuola. I miei voti sul diario dicevano
la riprovazione dei miei maestri. Quando non ero l'ultimo della
classe, ero il penultimo. (Evviva!) Refrattario dapprima all'aritmetica,
poi alla matematica, profondamente disortografico, poco incline
alla memorizzazione delle date e alla localizzazione dei luoghi
geografici, inadatto all'apprendimento delle lingue straniere, ritenuto
pigro (lezioni non studiate, compiti non fatti), portavo a casa
risultati pessimi che non erano riscattati né dalla musica,
né dallo sport né peraltro da alcuna attività
parascolastica.
"Capisci? Capisci o no quello che ti spiego?"
Non capivo. Questa inattitudine a capire aveva radici così
lontane che la famiglia aveva immaginato una leggenda per datarne
le origini: il mio apprendimento dell'alfabeto. Ho sempre sentito
dire che mi ci era voluto un anno intero per imparare la lettera
a. La lettera a, in un anno. Il deserto della
mia ignoranza cominciava al di là dell'invalicabile b.
"Niente panico, tra ventisei anni padroneggerà perfettamente
l'alfabeto."
Così ironizzava mio padre per esorcizzare i suoi stessi timori.
Molti anni dopo, mentre ripetevo l'ultimo anno delle superiori inseguendo
un diploma di maturità che si ostinava a sfuggirmi, farà
questa battuta:
"Non preoccuparti, anche per la maturità alla fine si
acquisiscono degli automatismi...".
O, nel settembre del 1968, quando ho avuto finalmente in tasca la
mia laurea in lettere:
"Ti ci è voluta una rivoluzione per la laurea, dobbiamo
temere una guerra mondiale per il dottorato?".
Detto senza alcuna particolare malignità. Era la nostra forma
di complicità. Mio padre e io abbiamo optato molto presto
per il sorriso.
Ma torniamo ai miei inizi. Ultimogenito di quattro fratelli, ero
un caso a parte. I miei genitori non avevano avuto occasione di
fare pratica con i miei fratelli maggiori, la cui carriera scolastica,
seppur non eccezionalmente brillante, si era svolta senza intoppi.
Ero oggetto di stupore, e di stupore costante poiché gli
anni passavano senza apportare il benché minimo miglioramento
nel mio stato di ebetudine scolastica. "Mi cadono le braccia",
"Non posso capacitarmi" sono per me esclamazioni familiari,
associate a sguardi adulti in cui colgo un abisso di incredulità
scavato dalla mia incapacità di assimilare alcunché.
A quanto pareva, tutti capivano più in fretta di me.
"Ma sei proprio duro di comprendonio! "
Un pomeriggio dell'anno della maturità (uno degli anni della
maturità), mentre mio padre mi spiegava trigonometria nella
stanza che fungeva da biblioteca, il nostro cane venne quatto quatto
a mettersi sul letto dietro di noi. Appena individuato, fu seccamente
mandato via:
"Fila di là, cane, sulla tua poltrona! ".
Cinque minuti dopo, il cane era di nuovo sul letto. Ma si era preso
la briga di andare a recuperare la vecchia coperta che proteggeva
la sua poltrona e vi si era steso sopra. Ammirazione generale, ovviamente,
e giustificata: tanto di cappello a un animale in grado di associare
un divieto all'idea astratta di pulizia e trarne la conclusione
che occorresse farsi la cuccia per godere della compagnia dei padroni,
con un vero e proprio ragionamento! Fu un argomento di
conversazione che in famiglia durò per anni. Personalmente,
ne trassi l'insegnamento che anche il cane di casa afferrava più
in fretta di me. Credo di avergli bisbigliato all'orecchio:
"Domani ci vai tu a scuola, leccaculo! ".
da Diario di scuola ed. Feltrinelli
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