Caffè Letterario
Pungitopo

Pier Paolo Pasolini



Acculturazione e acculturazione

da Sfida ai dirigenti della televisione. “Corriere della sera” 9 dicembre 1973.

Molti lamentano (in questo frangente dell’austerity) i disagi dovuti alla mancanza di una vita sociale e culturale organizzata fuori dal Centro «cattivo» nelle periferie «buone» (viste come dormitori senza verde, senza servizi, senza autonomia, senza più reali rapporti umani). Lamento retorico. Se infatti ciò di cui nelle periferie si lamenta la mancanza, ci fosse, esso sarebbe comunque organizzato dal Centro. Quello stesso Centro che, in pochi anni, ha distrutto tutte le culture periferiche dalle quali – appunto fino a pochi anni fa – era assicurata una vita propria, sostanzialmente libera, anche alle periferie più povere e addirittura miserabili.
Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la « tolleranza » della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno ormai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ida cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè come dicevo – i suoi modelli : che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un « uomo che consuma », ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.
L’antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l’unico fenomeno culturale che « omologava » gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale «omologatore» che è l’edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo. Non c’è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due Persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s’intende, vanno ancora a messa la domenica : in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo?
No. O lo realizzano materialmente solo in parte, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che in misura così minima da diventarne vittime. Frustrazione o addirittura ansa nevrotica sono ormai stati d’animo collettivi. Per esempio, i sottoproletari, fino a pochi anni fa, rispettavano la cultura e non si vergognavano della propria ignoranza. Anzi, erano fieri del proprio modello popolare di analfabeti in possesso però del mistero della realtà. Guardavano con un certo disprezzo spavaldo i « figli di papà », i piccoli borghesi, da cui si dissociavano, anche quando erano costretti a servirli. Adesso, al contrario, essi cominciano a vergognarsi della propria ignoranza : hanno abiurato dal proprio modello culturale. (i giovanissimi non lo ricordano neanche più, l’hanno completamente perduto), e il nuovo modello che cercano di imitare non prevede l’analfabetismo e la rozzezza. I ragazzi sottoproletari – umiliati – cancellano nella loro carta d’identità il termine del loro mestiere, per sostituirlo con la qualifica di « studente ». Naturalmente, da quando hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo borghese, che essi hanno sùbito acquisito per mimesi). Nel tempo stesso, il ragazzo piccolo borghese, nell’adeguarsi al modello « televisivo » – che, essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente naturale – diviene stranamente rozzo e infelice. Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio « uomo » che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali.
La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto « mezzo tecnico », ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si fa concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere.
Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre...

da Scritti Corsari, ed. Garzanti


Marzo 1974. Vuoto di carità, vuoto di cultura. Un linguaggio senza origini

Il Concordato della Chiesa col Fascismo è stata una cosa molto grave, allora, al momento di quella firma che fu una bestemmia al cospetto di Dio: ma è molto più grave oggi…
Il Concordato, ancora vigente, tra la Chiesa e lo Stato post-fascista è dunque una pura e semplice alleanza di potere…
C’era l’immensa mandria del popolo (ancora ripeto, classicamente religioso) che andava governato e tenuto in mano. Ma, presumiamo nella Chiesa la buona fede, e interpretiamo il suo abbietto patto coi fascisti come un modo per restare solidale con quel popolo ormai sfruttato e affamato. Oggi la Famiglia non è più – quasi di colpo –– quel « nucleo », minimo, originario, cellulare dell’economia contadina com’era stata per migliaia di anni. Di conseguenza, per un contraccolpo perfettamente logico, la Famiglia ha cessato anche di essere il « nucleo » minimo della Chiesa.
Che cos’è, oggi, la Famiglia? Dopo aver rischiato, praticamente, di dissolvere se stessa e il proprio doppio mito economico-religioso – secondo le previsioni progressiste degli intellettuali laici – oggi la Famiglia è tornata a essere una realtà più solida, più stabile, più accanitamente privilegiata di prima. È vero che, per esempio, per quanto riguarda l’educazione dei figli, le influenze esterne sono enormemente aumentate (tanto, ripeto, che a un certo punto si è pensato a una definitiva risistemazione pedagogica, del tutto fuori dalla Famiglia). Tuttavia la Famiglia è tornata a diventare quel potente e insostituibile centro infinitesimale di tutto che era prima. Perché? Perché la civiltà dei consumi ha bisogno della famiglia. Un singolo può non essere il consumatore che il produttore vuole. Cioè può essere un consumatore saltuario, imprevedibile, libero nelle scelte, sordo, capace magari del rifiuto: della rinuncia a quell’edonismo che è diventato la nuova religione. La nozione di « singolo » è per sua natura contraddittoria e inconciliabile con le esigenze del consumo. Bisogna distruggere il singolo. Esso deve essere sostituito (com’è noto) con l’uomo-massa. La famiglia è appunto l’unico possibile « exemplum » concreto di « massa ». È in seno alla famiglia che l’uomo diventa veramente consumatore prima per le esigenze sociali della coppia, poi per le esigenze sociali della famiglia vera e propria.
Dunque, la Famiglia (riscriviamola con la maiuscola) che per tanti secoli e millenni era stata lo « specimen » minimo, insieme, della economia contadina e della civiltà religiosa, ora è diventata lo « specimen » minimo della civiltà consumistica di massa.
La Chiesa nel suo rigido (e irreligioso) praticismo, e nel suo trionfalistico ottimismo escatologico (quel Fine che orrendamente ha giustificato nella sua storia tutti i mezzi) ignora questa sostanziale trasformazione della Famiglia : ciò di cui essa prende atto è il solito atto formale: cioè che la Famiglia sussiste (dopo aver rischiato di scomparire, in un diverso «sviluppo», di carattere umanistico, laico, marxista) ed è estremamente importante. Che cosa ha a che fare con la Religione una Famiglia intesa come « Base » della vita di un mondo totalmente industrializzato, la cui unica ideologia è un neo-edonismo completamente materialistico e laico, nel senso più stupido e passivo di questi termini? Il rapporto completamente esteriore, calcolato, formale (e grettamente pietistico) della Chiesa con tale nuovo tipo di Famiglia, può essere esaminato sotto vari aspetti e su vari piani. I1 punto di vista del problema del divorzio (col quale la Sacra Rota si è messa cinicamente in competizione) è uno dei tanti punti di vista con cui il rapporto della Chiesa con la Famiglia può essere analizzato.
Quanto a me posso dire che queste Sentenze della Sacra Rota mi hanno scandalizzato. Ma sia chiaro : non per la loro aberrazione morale e politica, il loro strisciante servilismo verso i tradizionali alleati (uomini di potere democristiani e fascisti), non per l’aria dell’imbroglio, dell’intrallazzo, dell’ipocrisia, della malafede, dell’untuosità, del privilegio che mai come qui appaiono in tutta la loro ripugnante evidenza. Esse mi hanno scandalizzato per due ragioni che potrebbero essere piuttosto definite culturali che moralistiche.
Primo: l’assenza totale di ogni forma di Carità. Alla Fede e alla Speranza c’è qualche raro accenno puramente formale e verbale: anzi per la verità ci si occupa di esse solo nei formulari, del resto stranamente rapidi e laconici. La sacerdotalità di tali accenni fugaci e cinicamente sbrigativi accomuna queste sentenze ai più ottusi e ufficiali rotoli di qualsiasi classe sacerdotale al potere. E va bene. Ma l’assenza totale di Carità, nell’esaminare casi in cui essa sarebbe per definizione essenziale, non può apparirci come un fatto prevedibile e normale. Essa è una offesa brutale a quella dignità umana che non viene nemmeno presa in considerazione. L’esperienza umana su cui queste sentenze si fondano nell’esaminare i casi è perfettamente irreligiosa : il pessimismo del suo pragmatismo è senza fondo. La vita interiore degli uomini è ridotta a mero calcolo e miserabile riserva mentale: a cui si aggiungono, naturalmente, le azioni, ma nella loro pura nudità formale.
Seconda ragione di scandalo : l’assenza totale di ogni forma di Cultura. Gli estensori di queste sentenze sembrano non conoscere altro che gli uomini – visti in un orribile intrico di azioni dettate da sentimenti bruti o da infantili interessi – ché, quanto a libri, essi sembrano conoscere solo quelli di diritto canonico e San Tommaso.
Se per caso si occupano di « problemi culturali » (in una di queste sentenze si parla per esempio di dannunzianesimo) lo fanno come se i problemi culturali fossero dei «fatti», cioè perfettamente pragmatizzati dal loro valore pubblico e sociale. Inoltre, se esaminati linguisticamente e stilisticamente, i testi di queste sentenze non ricordano nulla e nessuno. Il loro latino pare imparato direttamente da una grammatica che riporti come esempi brani di autori ritagliati in modo del tutto insignificante. A proposito dei testi di tali sentenze, infatti, non si potrebbe fare alcuna citazione. Non sarebbe possibile alcuna esegesi. Esse sembrano nascere da se stesse. L’interpretazione puramente pragmatica (senza Carità) delle azioni umane deriva dunque in conclusione da questa assenza di cultura : o perlomeno da questa cultura puramente formale e pratica. Tale assenza di cultura diviene anch’essa a sua volta offensiva della dignità dell’uomo quando essa si manifesta esplicitamente come disprezzo della cultura moderna, e altro non esprime dunque che la violenza e l’ignoranza di un mondo repressivo come totalità.

da Scritti Corsari, ed. Garzanti

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