Caffè Letterario
Pungitopo
Andrea Genovese

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 






 

 

 

 

Habitat

Nel copulato mondo
infiorescenze e tuberi
scorie d’antiche
combustioni.
Pura flatus del mare.
Omnia flatus.
O nulla!
infinito latitante.
Qui diramano le strade
impalati ghisa di gelo.
Non l’afa e le attese
il ritmo del sangue ma il battibecco
con la storia
finzioni di presenza
schermaglie con le cose
gli oggetti i referenti
sbronze linguistiche
con stronze
linguacciute
e altro irripetibile
pudicamente chiuso
tra parentesi

blenorragie d’antropiche impotenze.

Infinito leopardiano

Da un pianeta di foia
verranno i cementiferi
abitanti di deserti battuti
da tempeste di sperma polveroso
a violarti a murare
in una lastra di granito
il fiore nero di catrame
il tuo peccaminoso
fiore casalingo. Ma pulisciti
perdio pulisciti
indove il naufragar m’è dolce
verecondia delle parti molli
esposte sotto vetro.

Citazioni

assorto meditando a guardia del tuo sesso
pastore innamorato della pecora riottosa
lascio che il gregge corra al lupo
che s’inoltri nelle fauci e
io non so più qual’era il porto a cui miravo
cascatelle umorose arcadiche ubertose
nel fondovalle nella selva nella conca
la verità cercando tra docili caprette
il muscolo l’ariete ti scovava nella tana
io non so più qual’era (imboscato)
(in Arcadia vezzeggiante)
(i compagni le pecore le dilette carte)
e intanto la razza s’avventava
a perlustrare gli immediati dintorni
(è una gemma dice Lovell la Terra uno zaffiro)
ronzio del mostro alato
che sorvola la crosta accidentata
non porremo più domande erranti
onanizzanti nella fascia d’ombra
ma il ronzio della capsula
ma i figli dei figli forse
il tormento degli amori respinti
l’oltraggio che sempre il vizio
modellando plasmando approderemo

Utopia in panne

Vulcani mammelluti.
Cangurose matrone.
Superuranio
stratificarsi di pidocchi.
Elegia del bucio.
Unta geografia
delle rivolte.
Dov’è il chiosco
di super più vicino?
Apritevi
pertugi dell’inferno.
Entrerò in cinquecento
nel suo utero amoroso.

Maddalena al sepolcro

E dimmi quale porco d’iddio
in te s’incinse e ti lasciò il sole
e me sepolse
e inchiavardò e fui
al terzo giorno
già putrido e violaceo
e i soldati d’Erode s’annoiarono
dissero non ce la fa
e smontarono la guardia.

(Sexantropus e altre poesie preistoriche, Laboratorio delle Arti, 1976)

Odusseo

Su tutti i mari che percorse Odusseo
da un gabbiano all’altro sciabordò
sapidezza e brutale derisione
malevolo guizzando nella caccia
d’aspri nemici con viscide scaglie,
e mai stracciò o sperse con l’asta covi
di murene, né corallo sul pube
gli fiorì. Semplice è la struttura
dei naufragi: lasciò sempre sull’onda
relitti sintagmatici e fonemi
per buffi artigiani levantini
il piumato Eroe, l’astuto Pesce
Odusseo che il mutevole teorema
della salsedine e dei porti corse
con baldracche caudate e luminose.
Fin quando la sua pinna s’incagliò
e il vento ne fece scempio, e le bombe
dei pescatori di frodo, oggi dei.

Mafiosamente vostro

zatteroni sbattuti dal vecchiume
riproposti con lauro dagli incolti
musicanti del do ut des da ruffiani
scribacchini comprati a poco prczzo
pasticcioni legati al carro clienics
parassiti in attesa delle briciole
del torchio genuflessi a mediocri
Padrini che s’inventano ascendenze
scuole linee e si stampano e ristampano
camuffati razzisti ossigenati
nel pelo spulicanti zecche e piattole
dai loro cespuglietti supercritici
operaisti fratimarxisti struttu-
ralmerdisti gruppettari del ’63
in pingui greppie manducanti al sole
e voi euroletteristi tribuni
del pretorio cannibali incalliti
spacciatori di tutte le cucchizie
mestatori di cacche e di cacchette

(Bestidiario, All’insegna del pesce d’oro, 1977)

 

 

Remando dispiegano
le pagine latine al vento
e perché le insegne
s’incidano di brama e furia

vanno coniugando
la sensitiva marea di rughe

e come se la città specchio
fosse di panni rumorosi
tengono una linea ambigua
nell’ambiguità dello stretto

***

Quando la falce ci accarezza
e dice "hai ‘na beddra testa

guarda che mare che cielo azzurri
i sassi cristallini guizzanti
come pesci le piccole baie di Paradiso
picchì tinn’annasti fissa fusti
ora facemu ‘a vita di pascià
fammi vedere il collo minchia

quantu ssì babbu staiu schirzannu"

***

Eppure qui brillò
un granello di sabbia
un fotone d’acqua
legandoci una mappa
un monito cifrato

possibile che gli anni
aggiungendosi agli anni
di questo guizzo ferino
e salvatore nulla ci resti?

***

Finalmente la naumachia
ebbe inizio verso Pace
tra risate d’ondine e petazzi
d’orche sudicione

L’arrembaggio colse l’ammiraglia
incornata sulla punta
e l’equipaggio si sciolse in acqua
comicamente interpretandosi
sorbendosi una grecale ripassata

(Nugae delle quattro stagioni, Pungitopo, 1985)

   
Pungitopo pungitopo@pungitopo.com