Caffè Letterario
Pungitopo
Bartolo Cattafi

 

Dietrofront
Non furono tanto larghe
le maglie della rete,
i nostri beni bloccati alla frontiera.
Non poté piú fare
i segni di gesso la Dogana,
chiudere ancora gli occhi.
Dicemmo addio.
Perso l’oggetto
del nostro contrabbando.
Dinamite ai ponti,
alle spalle bruciavano le navi.
Proseguimmo con passo leggero,
limpida luce su di un nuovo aspetto,
paese da percorrere.
Andammo in albergo per la sera.
Trovammo i ponti riattati,
navi pronte a salpare ed un dispaccio.
Diceva Dietrofront,
riprendere la buona
crusca, la dolce farina del diavolo.

In denaro contante
Pagammo con le pene dell’inferno.
In denaro contante. Qualche
moneta suonò falsa: piombo,
le altre tutte buone.
L’inferno ebbe l’immagine
dell’anima e del corpo
entrambi alle prese col dolore.
Dopo dimenticammo quale acquisto,
il prezzo, la posta, che riscatto.
Debolezza di mente.
Da queste parti il sole dura poco,
il paesaggio è brullo, l’aria il cibo cattivi.
Il guadagno fu sonno, fu stanchezza.

(L’osso, l’anima, Mondadori, 1964)

Forche caudine
Quei tre quattro quintali compatti
fusi tutti assieme nella forma
filante dei teleostei
sono amorosi emigranti
legati dalla sorte
alle leggi del passo in acque temperate
preda di prue ruggenti
ferro e piaga si portano lontano
a squama a squama perdono nozioni
sul verde sull’azzurro sull’argento
incastrata nell’occhio
la vitrea morte
la lente opaca
primavera-estate
a Caudium e altrove
prima durante e dopo la seconda
guerra sannitica.

La discesa al trono
Non è una pausa di riflessione
è un raccogliere forze
ed elemosine
seduti a sommo delle scale
prima d’intraprendere
la discesa al trono
e tutto profondere
al fondo roccioso
aspro inebriante della disperazione.

(La discesa al trono, Mondadori, 1975)

Punti di vista
Li prendo li piazzo a varia altezza
i miei punti di vista
e in cerchio ogni punto
contrapposto a un altro
chi ci capita in mezzo cade
fatto a pezzi si scioglie
ora che sono forse nel plurimo nel giusto
il campo è buio e vuoto
chi s’è visto s’è visto
l’occhio chissà che altri
tiri invano pregusta
(era il parziale era solo quello
che dava ai rami
foglie piume alle ali).

Di petto
Prendendole di petto
fanno istintivamente un balzo indietro
fermane la fuga
leggi nel loro petto
come se tutto fosse sottovetro
strati su strati di torpide molecole
strati che appena rotti
roteano in un turbine confuso
d’immutabili tetri componenti...
In questo svariare che finisce
col volgere al riposo
il punto fisso di riferimento
è la tua faccia riflessa su quel vetro.

Enigmi
Cose non conosciute
curve e comode
da tenere in mano
enigmi pezzi d’enigmi
brani di saffo o simonide
oscurità d’omero
compagni da portare
per un percorso che non sappiamo
per un tempo non da noi scelto
da lasciare in un angolo
quando già lisci e caldi
già assuefatti amici
proprio quando s’aprivano a una prima
crepa...

Il vento
Quello che qui m’aspetto invano
è una visita un evento
un’ombra sulla porta
una mano annaspante
un occhio spento
una voce che dica
con un filo di fiato
– Fino all’ultima rampa
solo con le mie forze
non sospinta dal vento –
dato che il mondo giunge
senza scampo e a folate.

(L’allodola ottobrina, Mondadori, 1979)

Libertà
Oh sì non alzo
abbasso le mie ali
ai Tuoi piedi mi metto
libero lieve occhi socchiusi
aspetto assorbo accetto
dall’ultimo al primo i Tuoi soprusi.

La grazia
Sarebbe dunque in questo lividore
d’aria la grazia
che fa cadere a fiocchi
gelo candore oblio?
e dove metteresti l’altra grazia
che c’imbratta la faccia
di fiamme e fumo
che ci rammenta d’essere
schiatta di legna da ardere al buon Dio.

Pronto
Sempre pronto all’altro:
atterrare lo spirito che vola
convertire in cibo terrestre
pane companatico minestra
condurre il passero
alla sua manciata di scagliuola.

I mandarini di Pompei
Le sette piante di mandarino
cresciute davanti
all’Albergo Rosario di Pompei
hanno frutti a dicembre
bacati dalla mosca
che cadono al posto giusto
per essere schiacciati
Citrus nobilis
fango giallastro sotto ruote e piedi
spirito che sale
spremuto da tutti i pori olio essenziale.

Al momento giusto
Queste quattro cose quadrate
bigie sfilacciate di buon senso
vecchie di anni e anni
a mo’ di busta chiuse
con l’automatico
mettile a notte dove vuoi
da loro colerà miele selvatico
si smuoveranno
semiasfissiate le locuste
urlerà terribile Giovanni.

(Oltre l’omega, All’insegna del pesce d’oro, 1980. - N. d’E. : Oltre l’omega è il titolo che Cattafi aveva già pensato per una sua raccolta).

 

 

Thrinakie

Omero ne parla perché Ulisse
l’incontrò sul mare,
la Terra dei Tre Capi.
Ricca, fiera, boscosa,
America avanti lettera,
favole correvano
da un cateto all’altro.
Dovevano ancora venire
le agavi e le arance,
i paladini d’Angelica,
i sonni sull’amaca.
Ora è un triangolo arido,
figura piana e montuosa
di marina solitudine,
terra di molti mali
di problemi scottanti
non per colpa del sole.
Se vi sbarchi è come
un approdo in Nordafrica
o al Partenone
in un’aria di semicolonia,
e si è metà dentro metà fuori
di un chiaro capitolo di storia.

   
Pungitopo pungitopo@pungitopo.com