Caffè Letterario
Pungitopo
Zygmunt Bauman

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le vergini del capitale

Zygmunt Bauman ha 83 anni, ha insegnato fino al 1968 all'Università di Varsavia, poi costretto a emigrare ha continuato la sua attività all'ateneo di Leeds in Gran Bretagna. Autore di saggi fondamentali sulla societa della nostra epoca, avrebbe dovuto partecipare al convegno "Inquietudini nella modernità- organizzato dall'Arci di Firenze. Un impedimento non gli ha permesso di arrivare a Firenze e ha affidato il testo che avrebbe voluto pronunciare al convegno a "L'espresso". Che lo pubblica qui di seguito:

Come il recente tsunami finanziario ha dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio a milioni di persone che sono state indotte a credere nei mercati finanziari e nelle prassi bancarie come in altrettanti metodi validi per risolvere con successo i problemi, il capitalismo nella migliore delle ipotesi crea problemi, non li risolve. E questo per una ragione semplice: il capitalismo, come il teorema di incompletezza dei sistemi dei numeri naturali di Kurt Gödel, non può essere a uno stesso tempo coerente e completo. Se è coerente con i suoi stessi principi, insorgono problemi di cui esso non può occuparsi. Basti pensare come i mutui subprime, reclamizzati come uno strumento per porre rimedio alle difficoltà di chi non aveva una casa, di fatto hanno moltiplicato il numero di coloro che si sono ritrovati senza casa. Ben prima che Gödel abbozzasse il suo teorema, Rosa Luxemhurg aveva scritto il suo studio sull'accumulazione del capitale nel quale postulava che il capitalismo non è in grado di sopravvivere senza economie non capitaliste: esso può crescere soltanto fino a quando ci saranno «territori vergini», diceva, aperti all'espansione e allo sfruttamento. Pensava ai paesi che venivano colonizzati, all'epoca. Il problema è che una volta conquistati, quei territori vengono privati della loro "verginità", e così viene esaurita la fonte di cui il capitalismo stesso si nutre. II capitalismo, per dirla francamente, è in sostanza un sistema parassitico: può prosperare solo quando trova un organismo non ancora sfruttato del quale alimentarsi, ma (ecco il paradosso) non può farlo senza con ciò stesso danneggiare il suo ospite e prima o poi compromettere le premesse stesse del suo benessere o della sua stessa sopravvivenza.
Oggi, a un secolo di distanza da quella diagnosi, sappiamo con ancora maggiore certezza che la forza del capitalismo risiede nell'affascinante ingegnosità con la quale cerca e trova nuove specie di ospiti, ogniqualvolta le specie precedentemente sfruttate si fanno più rare, o si estinguono del tutto. Adesso conosciamo anche la velocità con cui si riadatta alle idiosincrasie dei suoi nuovi terreni di pascolo. Nel numero di novembre del "New York Review of Books", George Soros nel suo articolo "The Crisis and What to do About lt" ha spiegato l'iter delle iniziative capitaliste come una successione di bolle che si dilatano di regola ben oltre le loro possibilità, e che scoppiano immediatamente non appena si raggiunge il loro punto di massima resistenza. L'attuale stretta creditizia non annuncia dunque la fine del capitalismo, ma soltanto l'esaurirsi di uno dei terreni di cui esso si pasceva. La ricerca del prossimo pascolo avrà subito inizio. E proprio come in passato lo Stato capitalista sbandierava le sue operazioni tramite la mobilitazione forzata di risorse pubbliche (per mezzo di imposizioni fiscali invece di una seduzione rovinosa operata oggi da un mercato temporaneamente fuori servizio), si cercheranno nuovi territori vergini e si faranno tentativi per aprirli con le buone o con le cattive, fino a quando anche le loro potenzialità non si saranno a loro volta esaurite.
Come sempre, e come abbiamo appreso nel XX secolo da una lunga serie di scoperte matematiche, da Henri Poincaré a Edward Lorenz, il più piccolo scarto laterale può farci cadere nell'abisso e portare alla catastrofe, così come il più piccolo passo avanti può scatenare un'inondazione e finire col provocare un diluvio. E questo perché gli annunci di scoperte di isole nemmeno segnate sulle carte geografiche attirano di solito folle di avventurieri esorbitanti rispetto alle dimensioni stesse dei territori vergini - folle che nello spazio di un attimo potrebbero dover correre in fretta alle loro scialuppe per allontanarsi da un'imminente disastro - sperando, al di là dello sperabile, che le scialuppe siano ancora intatte e al sicuro. La domanda da porsi è quindi a che punto si esaurirà l'elenco dei territori riconducibili a un secondo processo di virginizzazione, e quando le esplorazioni (frenetiche e ingegnose) smetteranno di apportare qualche tregua temporanea. L'introduzione delle carte di credito e dei prestiti facili per l'acquisto delle case è stata anticipatrice di quello che sarebbe avvenuto. Il debito contratto doveva trasformarsi in un asset che consentiva di trarne profitto in permanenza a chi lo erogava. Non potete onorare il vostro debito? Non preoccupatevi: a differenza di quegli individui un po' sinistri di vecchio stampo che erano impazienti di vederli ripagati entro scadenze fissate in anticipo, noi, moderni erogatori di prestito, non vogliamo i nostri soldi indietro. Anzi, ci offriamo di prestarvi altri soldi ancora per ripagare i vostri debiti e non solo, ma lasciandovi perfino dei contanti in più. Infatti, ciò che nessuno ha dichiarato, lasciando alle cupe e oscure premonizioni dei debitori il compito di intuire la verità, è che le banche che erogano prestiti in realtà non vogliono che i loro debitori li onorino. Se i debitori ripagassero quanto hanno ottenuto, non sarebbero più in debito, mentre sono proprio i loro debiti (l'interesse pagato mensilmente) che gli erogatori hanno deciso di trasformare nella loro principale fonte di guadagno continuo. I clienti che restituiscono sollecitamente i soldi che hanno preso in prestito sono l'incubo di chi concede prestiti. E questo perché i profitti degli azionisti, delle banche si basano sul "servizio" continuo ai debiti, più che sulla loro tempestiva restituzione. Per quanto li riguarda, il richiedente ideale di prestito è colui che non ripagherà mai la cifra ottenuta. Le persone che hanno conti di risparmio ma non hanno debiti sono quindii "territori vergini" di oggi (di ieri) che consentono uno sfruttamento. Una volta indotti a essere messi a coltura, non dovrebbero quindi mai vedersi concedere la possibilità di rinunciare e tornare nuovamente a essere territori incolti. Così una delle società britinniche più importanti che rilasciano carte di credito, di recente ha provocato lo sdegno (di brevissima durata, naturalmente) dell'opinione pubblica quando ha vuotato il sacco e si è rifiutata di concedere nuovamente carte di credito ai clienti che ogni mese ripagavano i loro debiti. Ma ecco qualche esempio dell'impatto devastante di questa strategia: su un giornale britannico è stata pubblicata la storia di un cinquantunenne indebitatosi per 58 mila sterline con 14 società di credito e di prestito. Quel signore non è più riuscito a pagare gli interessi sul suo debito. Rimpiangendo a posteriori la stoltezza che lo ha cacciato in simile deprecabile situazione, egli si è scagliato contro chi gli aveva erogato i prestiti: a suo dire, chi eroga prestiti è «in parte» colpevole e biasimevole, perché permette che la gente si indebiti con incredibile facilità. In un altro paese distante, nel Queensland in Australia, una giovane che ha oggi 23 anni e si chiama Siobhan Healey, alcuni anni fa ha ottenuto la sua prima carta di credito: finalmente - così ha dichiarato - era libera di poter gestire da sola le proprie finanze. Non molto tempo dopo la giovane ha chiesto e ottenuto una seconda carta di credito per far fronte agli interessi e ai debiti accumulati sulla prima. Passato poco tempo ancora, ha scoperto che la seconda carta di credito non bastava a coprire gli interessi dei debiti della prima. Si è quindi rivolta a una banca per ottenere un prestito necessario a saldare gli scoperti di entrambe le carte. Le banche insomma sono riuscite a ottenere ciò che volevano: una terra vergine conquistata e sfruttata.
Come in tutte le precedenti mutazioni del capitalismo, anche questa volta lo Stato ha aiutato la creazione di questi nuovi territori. E sulla base di un'iniziativa del presidente Clinton che si introdussero negli Stati Uniti i mutui subprime sponsorizzati dal governo per offrire una linea di eredito facilitata per l'acquisto di una casa a persone che non avevano i mezzi per ripagare i propri prestiti, e di conseguenza per trasformare in debitrici quelle parti della popolazione che fino a quel momento erano inaccessibili allo sfruttamento mediato dal credito. Ma proprio come la scomparsa di gente che si aggira a piedi nudi impensierì l'industria calzaturiera, così la scomparsa di persone non indebitate lascia presagire il disastro per l'industria dei prestiti. Ancora una volta il capitalismo si sta avvicinando a un non intenzionale suicidio, facendo sì da esaurire le risorse di nuovi territori vergini da sfruttare. Insomma, il capitalismo è finito? Non credo. La notizia della morte del capitalismo, come avrebbe detto Mark Twain, è terribilmente esagerata. Lo Stato e venuto in soccorso. I suoi muscoli, da tempo inutilizzati, sono stati ancora una volta flessi. E basti pensare ai giganteschi piani di salvataggio delle banche escogitati dai governi di tutto il mondo. Ma è stato introdotto anche una specie di Welfare per i più ricchi. Per fare un solo esempio, preso della cronaca recente: nel momento in cui è stata fermata dall'iniezione abbondante di denaro dei contribuenti proprio sull'orlo della catastrofe, la Banca TSB Lloyds ha iniziato a esercitare pressioni sul Tesoro per dirottare parte del pacchetto di salvataggio nei conti dividendi degli azionisti; e malgrado l'indignazione ufficiale dei portavoce dello Stato, ha proceduto indisturbata a pagare bonus, oggetto di cupidigia e avidità talmente scatenate da portare le banche e i loro clienti al disastro assoluto. Non è la prima volta che succede. Secondo Stephen Sliwinski del Cato Institute, già nel 2006 il governo federale americano spese 92 miliardi di dollari per puntellare con sussidi colossi dell'industria quali Boeing, Ibm e General Motors. Anni fa Jiirgen Habermas postulava che lo Stato fosse capitalista e faceva presente che l'essenza del capitalismo è l'unione di capitale e manodopera. Scopo di tale unione è operare una transazione commerciale: il capitale compra la manodopera. Perché la transazione abbia luogo, tuttavia, devono essere soddisfatte due condizioni: il capitale deve essere in grado di acquistare e la manodopera deve essere acquistabile, e cioè risultare sufficientemente interessante e allettante per essere acquistata dal capitale. Compito principale dello Stato è dunque far sì che entrambi questi requisiti siano soddisfatti. Lo Stato pertanto deve fare due cose: primo, sovvenzionare il capitale nel caso in cui sia a corto dei liquidi necessari all'acquisto di una manodopera proficua e produttiva. Secondo, accertarsi che la manodopera meriti effettivamente di essere acquistata - cioè che sia in grado di reggere alla fatica della produzione industriale, che sia forte e in buona salute, non malnutrita, e che sia adeguatamente preparata e abbia quelle competenze e qualità lavorative e comportamentali indispensabili a essere impiegata nel settore industriale. Habermas scriveva queste cose al tramonto della società moderna "solida" dei produttori. Oggi, nella società "liquida", lo Stato è capitalista nella misura in cui garantisce una continua disponibilità di credito. Del resto la cooperazione tra Stato e mercato è una regola sotto il capitalismo. Il conflitto tra loro, se mai si presenta, è invece l'eccezione. Rimane da vedere, l'avvenire: ossia le future terre vergini.

traduzione di Anna Bissanti

(tratto da L'Espresso, dicembre 2008)

   
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