ELEGIE
Il naufragio
Pericle, a piangere i tristi lutti, non il cittadino
né la città nei giorni di festa avrà più
gioia;
poi che uomini tali il flutto del mare muggente
ha travolto, e ne abbiamo il cuor gonfio d’angoscia.
Pure ad irrimediabili mali, o amico, gli Dei
per rimedio hanno posto la forte pazienza.
Va la sventura ora a questo ora a quello; or a noi essa è
giunta
e noi piangiamo per la sanguinante ferita.
Ma poi si rivolgerà verso altri; voi dunque, suvvia,
sopportate, astenendovi dal femmineo compianto.
Naufraghi
Nel mare – candida schiuma chiomata –
molti invocarono il dolce ritorno.
La lancia
Nella lancia è il mio bel pane,
nella lancia è il mio bel vino,
appoggiato alla lancia io bevo.
Soldato e poeta
Servo io sono del dio della guerra;
e delle Muse conosco gli amabili doni.
Corpo a corpo
Né poi si tenderanno molti archi, né frombole molte,
quando la pugna Marte nella pianura accozzi.
Lavoreranno le spade, ministre di lagrime e pianti;
poiché di tale pugna sono maestri insigni,
sperti di lancia i signori d’Eubea.
Una che non fa piangere nessuno
Fico di roccia che dà beccare a cornacchie dimolte
è Pasifile bella che alloggia i forestieri.
Veglia sul mare
...
Orsú dunque porta in giro la coppa senza tregua, tra i banchi
della nave veloce e strappa i coperchi degli orci capaci, attingi
il vino rosso fin dalla feccia: ché noi non potremo essere
sobri in questa veglia.
Lo scudo
Del mio scudo si fa bello
uno dei Sai. Presso un cespuglio
lo dovetti lasciare, e mi seccò.
Che bellezza di scudo! Ma salvai
la pelle. Alla malora! Non m’importa
piú. Ne avrò un altro migliore.
Doni di morte
Ospitali doni luttuosi largendo ai nemici.
GIAMBI
Saggezza
I tesori di Gige non m’importano,
non invidio, le gesta degli Dei
non ammiro, né ambisco gran dominio:
lontano è tutto ciò dagli occhi miei.
L’isola di Taso
Questa come schiena d’asino
sta di selva selvaggia coronata.
Con una fronda di mirto
Con una fronda di mirto giocava
ed una fresca rosa;
.......
e la sua chioma
le ombrava lieve gli omeri e le spalle.
Odoravan d'unguento
Odoravan d'unguento chioma e seno
anche un vecchio ella avrebbe innamorato
Tanta voglia
Tanta voglia ho di rissare con te,
quanta ne ho di bere
quando ho sete....
TETRAMETRI
Rispetto dei morti
Ché è ignobile insultare coloro che son morti.
L’augurio
Lo spero! Molti di loro disseccherà Sirio,
con gli acuti lampi dei suoi raggi.
Neobule
Oh! cosí io potessi sfiorare la mano di Neobule!
Ditirambo
Di Dioniso signore la bella melodia,
il ditirambo,
io so cominciare,
fulminato l’animo dal vino.
La povera Grecia
A Taso convenne di corsa
la miseria di tutta la Grecia.
Ingiusto vanto
Sette sono i morti caduti:
li raggiungemmo a forza di piedi.
Mille siamo gli uccisori.
Tempesta
Glauco, guarda: il mare profondo
spumeggia agitato,
segno di tempesta
un nembo s’addensa
ed incombe
intorno alle vette dei Girei.
Nasce dall’inatteso la paura.
I fichi di Paro
Lascia Paro e quei fichi e la vita marinara.
I termini della vittoria
Ai giovini infondi coraggio:
negli dèi i termini della vittoria.
A se stesso
Animo mio, animo agitato dai flutti dell’irrimediabile affanno,
riemergi! Ai nemici opponi il petto e difènditi! Intrepido,
sta presso alle insidie dei nemici. E nella vittoria non esibire
l’orgoglio, nella sconfittta non piangere, abbattuto in casa.
Ma gioisci delle gioie e non afflosciarti nei mali: impara quale
ritmo gli uomini possiede.
EPODI
Contro Licambe
Padre Licambe, quale mai è il tuo pensiero? Chi ti stravolse
l’animo in cui prima eri pur saldo? Ora in verità molto
di te ridono i cittadini!
La cicala
strizzasti per l’ala.
Il giuramento grande
lasciasti cadere lontano
e il sale e la tavola.
Padre Zeus, al banchetto di nozze non partecipai.
Ma egli me la pagherà.
Cieco d’amore
Tale desiderio d’amore rivoltandosi sotto il cuore
fitta caligine sugli occhi versava
e rubava dal petto l’animo molle.
Desiderio struggente
Amico,
mi doma la voglia che strugge le membra:
né giambi, né gioie io curo.
Onnipotenza della sorte
O Pericle,
tutto assegnano all’uomo
sorte e destino.
Il canto
Ognuno subisce il fascino dei canti.
Le ossa trafitte
Infelice giaccio nel desiderio,
senza anima; gli dèi con duri dolori
mi hanno trafitto le ossa.
All’amico d’un tempo
Lungamente travolto dai marosi
tu sia sbattuto contro Salmidesso,
nudo, di notte, mentre in noi fa quiete.
E spossato, con ansia dalla riva
tu rimanga a ciglio del frangente,
nel freddo, stridendo i denti,
come un cane, riverso sulla bocca;
e il flusso continuo dell’acque
ti copra fitto d’alghe.
Cosí ti prendano i Traci, che in alto
annodate portano le chiome,
e con loro tu nutra molti mali
mangiando il pane dello schiavo.
Questo vorrei vedere che tu soffra,
tu che m’eri amico un tempo
e poi mi camminasti sopra il cuore.
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